Sd, Mussi sotto assedio Cgil minaccia le sue dimissioni

Una riunione fino a tarda ora per cercare di arrivare in consiglio dei ministri con una posizione comune della sinistra unionista. E poi, ieri mattina, la divisione dei quattro esponenti della cosiddetta Cosa rossa. La stessa divisione tra Prc-Pdci da una parte e Sd-Verdi dall’altra che sarà rappresentata sabato prossimo in piazza.
A palazzo Chigi va in scena una sorta di pre-crisi parallela. Quella di una sinistra che si vorrebbe unire ma che alla prova dei fatti non riesce a parlare con una voce sola. Una sofferenza che rischia di diventare una vera e propria lacerazione dentro le stesse forze che, come primo passo, si dovrebbero federare. Perché nella Sinistra democratica il clima è da resa dei conti.
«Mi auguro un voto unanime in consiglio dei ministri». Intervistato da Europa per l’edizione di ieri, il sottosegretario agli esteri Famiano Crucianelli, esponente di Sd, diceva pubblicamente quello che in privato Fabio Mussi, che di Sinistra democratica è il leader, si era sentito ripetere da molti alla vigilia del voto sul protocollo del 23 luglio.
Nella riunione del direttivo di giovedì sera, è un fuoco di fila che interpreta soprattutto gli umori della Cgil. E mira non solo a inchiodare il coordinatore nazionale all’esito della consultazione tra i lavoratori, ma a amettere in discussione le stesse prospettive della Sinistra democratica e il percorso unitario con Rifondazione, Pdci e Verdi. La missione di Sd, diceva non a caso Crucianelli al quotidiano della Margherita, «resta quella di costruire un nuovo soggetto», ma «la distanza fra l’obiettivo e la situazione attuale non sfugge a nessuno».
Nel direttivo, le perplessità si traducono in una richiesta di verifica rivolta al leader. Nella sua relazione, Mussi ricorda la posizione di Sd rispettto al protocollo sul welfare: il giudizio positivo sulle pensioni e la necessità di modifiche sulla parte relativa al mercato del lavoro. E aggiunge che va riconosciuta la vittoria del sì nella consultazione ma anche il malessere emerso dallo stesso «referendum», con il prevalere del no tra i metalmeccanici. Senza modifiche al protocollo almeno sui lavori usuranti e sui contratti a termine, conclude dunque Mussi, in consiglio dei ministri bisognerà astenersi. Seguono parecchi interventi a sostengo invece del sì, per rimandare eventuali modifiche alla battaglia in parlamento (anche se in molti già nei giorni scorsi avevano detto di ritenerla rischiosa). Su questa posizione Olga D’Antona – che mette l’accento sulla necessità di una verifica politica e organizzativa di Sd -, la capogruppo alla camera Titti Di Salvo, Fulvia Bandoli… E, soprattuttto, Paolo Nerozzi, segretario confederale Cgil e uomo forte della macchina del movimento. Ma Mussi ribadisce la sua posizione. E si assume la responsabilità di un’astensione.
Non solo. Perché è soprattutto sfidando Nerozzi che il leader di Sinistra democratica rovescia il tavolo: sarò io stesso a convocare il coordinamento nazionale per presentare le mie dimissioni; se altri ritengono di avere i numeri per prendere il mio posto si facciano avanti e aprano una discussione su se e come continuare la nostra esperienza… Gelo in sala. La discussione finisce così, senza nemmeno un voto.
Poi, l’indomani mattina, cioè ieri in consiglio dei ministri, il sì sofferto di Mussi di fronte alle modifiche concesse sul protocollo. Un sì con riserva e anche con dubbi di costituzionalità rispetto al tetto di spesa per i lavori usuranti.