Scrittori di successo, stroncarli non è reato

Se proprio si dovesse formulare a tutti i costi una accusa contro questa suite di critica militante tascabile che è Sul banco dei cattivi. A proposito di Baricco e di altri scrittori alla moda (Donzelli, pp. 96, euro 10,90), suonata dall’inedito quartetto Berardinelli, Ferroni, La Porta, Onofri, oltre che rimarcare la poco felice scelta del titolo (come ha già scritto Andrea Cortellessa), si potrebbe sostenere che si tratta di un’elegante operazione di retroguardia fine a se stessa: di un’esibizione di talento esegetico e calibrata ferocia che tuttavia esaurisce in sé, quasi fosse una performance, le sue prerogative. Sfrontatamente provocatoria, per giunta, dal momento che prende di petto campioni delle tirature e autori di fama conclamata (e suggellata dalla firma di autorevoli recensori). Con la sola eccezione del Ferroni benemerito fustigatore della bariccheide barbarica (la cui implacabile cadenza periodica sulle pagine di Repubblica ha se non altro consentito al suo detrattore ormai antonomastico un tempismo perfetto), del resto, le stroncature arrivano a freddo, ai danni di libri e autori già letti e discussi: Onofri elabora l’intrigante nozione di “sublime basso” per applicarla ai romanzi di Salvatore Niffoi, Erri De Luca, Isabella Santacroce; Filippo La Porta si profonde in una demolizione sistematica del “Nuovo Giallo Italiano”; Berardinelli ingaggia un duello in forma di lettera aperta con Tiziano Scarpa e alcune delle tesi formulate da questi nel recente Batticuore fuorilegge. Né, d’altro canto, i quattro interventi pretendono di possedere il respiro lungo del saggio ponderato, vibrando appunto di quella urgenza polemica che è, o dovrebbe essere, propria della critica militante.
Ma anche a volere essere malevoli a tutti i costi, è davvero difficile dir male di questo libro (a meno che non si consideri la stroncatura, di per sé, “un genere letterario fascista” come ebbe ad asserire tempo fa, con sorprendente arditezza, Emanuele Trevi). Anzi, proprio le ipotetiche obiezioni sopra formulate, se riconsiderate, finiscono col diventare ulteriori ragioni di merito tanto per i singoli interventi quanto per l’intera operazione editoriale. La quale, forzando gli spazi e i tempi contingentati e istituzionali della critica, guadagna una dimensione inconsueta alla polemica letteraria (quello del libro, appunto, agile per quanto sia) e rilancia una tradizione, quella del pamphlet letterario, che sembrava tramontata (era forse dai tempi del Marino Sinibaldi di Pulp, istant-book guarda caso pubblicato anch’esso da Donzelli, che non si vedeva un libro pensato e scritto col deliberato intento di intervenire nel vivo del cosiddetto dibattito letterario).

I perfidi autori, oltretutto, danno l’impressione di agire con la temeraria consapevolezza di chi è minoranza destinata a soccombere: non tanto per la disparità dei mezzi con i quali sostenere lo scontro, avendo deciso, come si diceva, di arrembare corazzate dell’editoria da tirature a sei cifre (Baricco, i polizieschi) o, comunque, di contendere con autori forti di premi e consensi (De Luca, Niffoi); quanto piuttosto per la condizione marginale alla quale è stato ridotto il pensiero critico in generale e la critica letteraria in particolare, rispetto ai fasti effimeri delle patrie lettere contemporanee. E di questa condizione di crisi, della afasia alla quale rischia di essere ridotta la critica, è il caso di ricordarlo, due dei quattro (penso, ovviamente, al Ferroni di Dopo La fine e al Berardinelli del Critico senza mestiere) hanno in passato ragionato in alcune delle loro opere più significative; quando invece i più giovani La Porta e Onofri (quest’ultimo con particolare zelo) hanno ostinatamente continuato a leggere, in questi anni, la produzione letteraria contemporanea anche come un imprescindibile documento sociale del nostro tempo.

La presunta provocatorietà della piccola silloge di stroncature, dunque, non ha niente della querula acrimonia del pettegolezzo letterario o del narcisismo greve del gesto gratuitamente anticonformista o irriverente, come qualcuno ha voluto insinuare. Certo lo si deve anche alla grande qualità dei pezzi che fanno il libro, diversi per quanto siano l’uno dall’altro (come del resto diverse, al di là delle possibili sintonie, sono le storie e i percorsi dei singoli autori): vi si ritrova ancora integra la vocazione civile della migliore critica letteraria, minoritaria, periferica e perdente per quanto sia. Una prova di tenacia nell’esercizio della ragione critica, dunque, declinata nella disamina sorniona dell’ontologia del baricchismo (in Ferroni); applicata con geometrico scrupolo dimostrativo nella demolizione della trionfante, “arcitaliana”, narrativa gialla, poliziesca e noir (La Porta); esibita nella smagliante e minuziosa verifica testuale prodotta da Onofri a documentazione della sua convincente tesi sul “sublime basso”; giocata tutta sul filo lieve della retorica argomentativa e della confutazione delle asserzioni altrui, nel “tu” che l’antico maestro rivolge all’antico allievo Scarpa.