Scontro frontale Brasile-Stati Uniti

fonte: http://www.jornada.unam.mx/2010/05/21/index.php?section=opinion&article=021a1pol

Traduzione di l’Ernesto online

*Raúl Zibechi è giornalista e analista uruguayano. Il suo articolo è stato pubblicato in La Jornada, autorevole giornale della sinistra messicana

Lo splendore di fatti che fanno storia, come l’accordo firmato il 17 maggio tra Brasile, Iran e Turchia per risolvere il conflitto in merito al programma nucleare iraniano, illumina le zone che abitualmente rimangono in ombra. Le onde espansive dell’accordo di Teheran hanno scosso le cancellerie delle potenze dell’Occidente, mettendo in evidenza il profondo disappunto che provoca l’irruzione di paesi emergenti che scombinano la scacchiera globale.

La reazione della Casa Bianca, per bocca della segretaria di Stato Hillary Clinton, che ha passato sotto silenzio l’accordo di Teheran e che ha la pretesa di andare avanti con la politica delle sanzioni, mostra l’impotenza degli Stati Uniti nel vedersi spiazzati nello scenario globale. Nel groviglio di dichiarazioni rilasciate dal 17 maggio vale la pena di districarsi tra i fili che mostrano il crescente confronto tra Brasilia e Washington, che si traduce nella regione sudamericana in un’inevitabile scalata che, a un determinato momento, potrebbe raggiungere livelli allarmanti.

Il presidente Luiz Inacio Lula da Silva ha dichiarato che l’importante è che si possa stabilire una relazione di fiducia. Non è possibile fare politica senza avere un rapporto di fiducia (Folha de Sao Paulo, 17 maggio 2010). Al contrario, Clinton ha rilevato che l’accordo rappresenta un tentativo di frenare l’azione del Consiglio di Sicurezza senza giungere ad adottare misure che tengano conto della preoccupazione internazionale sul programma nucleare (The Guardian, 17 maggio). Ha diffuso la sfiducia, proprio al contrario di Lula.

Flynt Leverett, direttore del Progetto Iran della Fondazione Nuova America, ex responsabile per il Medio Oriente del Consiglio di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti ed ex analista della CIA, ha preso le distanze dalla Casa Bianca rilevando che la segretaria Hillary Clnton si trova sotto pressione, quasi che il governo Obama abbia perduto il controllo della situazione e Brasile e Turchia abbiano assunto la leadership della diplomazia (O Globo, 19 maggio). Egli crede che l’insistenza sulle sanzioni si rivolga contro il governo di Obama, che sta conducendo un gioco abbastanza rischioso. Leverett va oltre, affermando che il cambiamento di posizione degli Stati Uniti, che ora fa ritornare a galla la tesi che l’Iran deve abbandonare del tutto l’arricchimento dell’uranio, è disonesta e un segnale di disperazione.

Occorre chiedersi, perché la disperazione del governo di Obama? Da un lato perde alleati, come Turchia e Brasile, in due zone strategiche per i suoi interessi. Dall’altro, non può rifiutare la via diplomatica e neppure apparire come il grande sconfitto dopo aver impugnato per anni il bastone contro l’Iran. Forse il boccone più duro da digerire è il fatto che nell’ex cortile di casa sudamericano è nata una potenza che può anche mettere in ombra la Casa Bianca in Medio Oriente.

Un’autentica novità è rappresentata dal fatto che in Brasile anche la stampa tende a serrare le fila attorno al governo di Lula, senza nascondere che ci si trova di fronte ad un conflitto globale con la Casa Bianca. Marco Aurelio García, consigliere speciale per gli affari internazionali della Presidenza del Brasile, si è riferito al governo di Obama dicendo: sono feriti. Dove noi passavamo, gli Stati Uniti erano già passati prima per scoraggiare l’iniziativa tesa a raggiungere un accordo con l’Iran. Ha sostenuto che se gli Stati Uniti opteranno per le sanzioni ne soffriranno una sanzione morale e politica (Zero Hora, 19 maggio).

La prudente diplomazia di Itamaraty non nasconde la propria indignazione nei confronti dell’atteggiamento statunitense. Il 19 maggio la cancelleria ha inviato una lettera al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite spiegando che l’accordo di Teheran contiene gli stessi termini che le potenze occidentali vanno esigendo da tempo, e chiede che non si sbarri la strada ai negoziati. Per questo Amorim ha detto che ignorare l’accordo significa disprezzare la ricerca di una soluzione pacifica e negoziata (O Estado de Sao Paulo, 19 maggio). Per il cancelliere, che è stato l’elemento chiave nel ricamo dell’accordo, è il passaporto per una soluzione negoziata e pacifica.

Ma il confronto tra Brasile e Stati Uniti raggiunge il culmine nella regione sudamericana e passa attraverso la difesa dell’Amazzonia e del petrolio trovato nell’Atlantico del Sud. Il bilancio militare è aumentato del 45% dal 2004, senza contare gli accordi con la Francia per l’acquisto di cinque sottomarini, uno dei quali nucleare, che saranno fabbricati in Brasile, oltre a 50 elicotteri da combattimento. L’acquisizione di 36 caccia di ultima generazione dalla francese Dassault, scartando l’offerta statunitense della statunitense Boeing, che sarà ufficializzata nelle prossime settimane, è un altro motivo di grande frizione con Washington.

Che tutti gli acquisti comprendano il trasferimento di tecnologia rivela che il Brasile ha deciso la creazione di un complesso militare-industriale autonomo, come garanzia della sua proiezione regionale e globale.

Si potrebbero menzionare anche gli accordi militari con la Russia, che includono elicotteri d’attacco e sistemi di difesa antiaerea. Sicuramente, la cosa più significativa è il dispiegamento dell’esercito in Amazzonia, per far fronte alle nuove basi degli Stati Uniti in Colombia. In questi giorni si stanno realizzando i maggiori movimenti di truppe da quando i militari assunsero il potere in Brasile, nel 1964 (Zero Hora, 18 aprile).

Gli effettivi dell’esercito in Amazzonia sono raddoppiati: dai 25.000 presenti adesso passeranno a 49.000 in pochi anni; si sta installando una base della forza aerea per le operazioni degli aerei di trasporto Hércules e le nuove brigate si stanno trasformando in moduli da combattimento indipendenti con circa 3.000 effettivi ciascuno, per adattarsi al combattimento nella selva. Le truppe di terra crescono di quasi il 30%, con 59.000 nuovi effettivi.

Il Brasile si prepara ad un confronto militare con gli Stati Uniti, il cui epicentro sarà l’Amazzonia. Se lo scontro dei treni è inevitabile, si spiega perché la Strategia Nazionale di Difesa, approvata nel 2008, difende la necessità di sviluppare e dominare la tecnologia nucleare.