“Scontro di civiltà”? No grazie

Il premio a Oriana Fallaci

Può accadere che una di noi apprenda, nel corso di un’intervista radiofonica, che proprio quel giorno, in una cerimonia solenne, il Presidente della Repubblica ha premiato con una medaglia d’oro Oriana Fallaci in quanto benemerita della cultura. Dapprima incredula, corre a verificare la notizia, riferita solo da qualche agenzia-stampa: ahimé, è vera. Domani i quotidiani la riporteranno – pensa – e i nostri giornali la commenteranno esprimendo sdegno o sconcerto. Intanto che fare per condividere l’indignazione invece che rimuginare in solitudine? Scrivere a Ciampi? Sì, scrivergli ma in tanti. E’ così che nasce l’idea d’una lettera aperta, che viene inviata a un indirizzario elettronico alquanto esiguo ma qualificato, come si dice. Il primo a rispondere e a sottoscrivere, davvero “in tempo reale”, è Sandro Portelli: un buon esordio. Subito dopo arrivano le firme di Giuseppe Prestipino, Franco Piersanti, Alberto Burgio, Clara Gallini, Walter Peruzzi, Giuseppe Faso, Carla Pasquinelli, Melo Franchina… Grazie alla prodigiosa catena di sant’Antonio innescata dall’esiguo indirizzario, le adesioni si moltiplicano rapidamente e con esse il dubbio: che fare di questa piccola valanga di firme? Come rendere pubblica la lettera aperta? A soccorrerci è Filippo Miraglia, che con la consueta generosità e prontezza mette a disposizione il prestigio e l’ufficiostampa dell’Arci nazionale.
In pochi giorni le firme divengono molte centinaia, ma arduo si rivela il tentativo d’aprire squarci nella coltre del silenzio mediatico. Che ha ricoperto entrambe le notizie: della lettera aperta e della stessa premiazione. A pubblicare l’appello sono alcuni giornali e siti on line (fra tutti, l’italo-francese “Bellaciao”) ma, fra la carta stampata, solo L’Umanité, Liberazione e il manifestone informano i lettori. Meno male: la notizia della sconcertante medaglia d’oro presidenziale all’ideologa di seconda linea dello scontro fra civiltà, l’avevano “bucata” pure loro.
Un peccato veniale, se si considera che in quei giorni il più importante affaire è di sicuro quello della Banca d’Italia. Ma forse l’imbarazzo c’entra in qualche modo: criticare Ciampi in una così delicata fase della vita politica italiana può essere sembrato inopportuno. Non ai molti che continuano ad inviare adesioni. Le firme prestigiose diventano decine (non se l’abbiano a male coloro che non sono citati, ma solo per ragioni di spazio): Corrado Stajano, Remo Ceserani, Carlo Ginzburg, Marco Revelli, Nicola Tranfaglia, Clotilde Pontecorvo, Sandro Triulzi, Fabrizia Ramondino, Pupa Garribba, Enrico Pugliese, Ivan Della Mea, Liliana Lanzardo, Cesare Bermani, Tamar Pitch, Iain Chambers, Ester Fano, Armando Gnisci, Amalia Signorelli, Victor Magiar, M. I. Macioti, Stefano Allievi, Sandro Mezzadra, Claude Calame, Emilio Santoro, Salvatore Palidda, Pino Ferraris… Ciò che colpisce, soprattutto, è la preponderante adesione del mondo universitario. Anche gli antropologi, solitamente poco inclini in Italia ad occupare la scena pubblica, questa volta si fanno sentire: Fabietti, Angioni, Palmeri, Faeta, De Angelis, Sobrero, Angelini, Marta, Da Re, per fare solo pochi nomi oltre i già citati.
Tra i firmatari vi sono credenti e non credenti, atei militanti e cattolici praticanti, personalità d’ambiente ebraico ed esponenti dell’islam italiano, fra i quali il segretario dell’Ucoii: una bella risposta a chi concepisce sensibilità religiose e orientamenti filosofici diversi come confini blindati di civiltà in guerra fra loro. Il mondo dell’associazionismo e del sindacato sono ben rappresentati: Paolo Beni, Filippo Miraglia, Gianfranco Schiavone, Moreno Biagioni, Stefano Anastasia, Alessandra Mecozzi, Nella Ginatempo, Piero Maestri… Più esigue e perciò preziose le adesioni dall’interno della sinistra politica: firmano i deputati Folena e Russo Spena, l’eurodeputata Morgantini, alcuni dirigenti del Prc come Imma Barbarossa, Roberta Fantozzi, Carlo Cartocci, Claudio Grassi, insieme a qualche raro esponente dei Verdi e al Partito Umanista. I firmatari rappresentano ogni arte e professione: insegnanti ed impiegati, architetti ed ingegneri, zoologi ed agronomi, psichiatri e psicoanalisti, medici e falegnami, registi e scrittori, artisti di strada e pittori. Inaspettata la piccola schiera di giornalisti e di rappresentanti del mondo dell’editoria, da Meltemi ad Argo, l’editrice leccese. Alcuni si qualificano semplicemente “cittadino” o “cittadina” e v’è chi si definisce “musulmano italiano e libero pensatore”. Un folto gruppo di persone preferisce non aggiungere qualifiche al proprio nome, accompagnando l’adesione con messaggi d’indignata protesta per il premio a Fallaci e di vivo plauso per l’iniziativa della lettera aperta. Il migliaio di firme giunte finora è un piccolo miracolo: un’idea nata “dal basso” e dal singolare è divenuta feconda e plurale solo perché in sintonia con il sentire di altre mille persone, che a loro volta, probabilmente, sono la punta dell’iceberg di un’opinione più diffusa. Volendo tentare di definirla, si potrebbe dire che è un’opinione radicalmente democratica, sensibile ai temi della tolleranza, della convivenza fra eguali e diversi, del pluralismo culturale e religioso. Un’opinione che prende sul serio i principi e i valori costituzionali – la ripulsa del razzismo e della guerra, il ruolo super partes e di supremo garante della Costituzione conferito al Capo dello Stato – e rifiuta intolleranza, fanatismi e fondamentalismi comunque aggettivabili.
Non è in discussione il diritto di Oriana Fallaci di manifestare le sue idee, pur controverse o detestabili. A suscitare costernazione è il fatto che esse siano state solennemente legittimate dalla più alta carica dello Stato come espressione, e per eccellenza, della cultura italiana. La medaglia d’oro presidenziale, infatti, finisce per essere, al di là delle intenzioni, il supremo sigillo alla costruzione di un clamoroso caso editoriale, cui hanno concorso numerosi soggetti ed agenzie, a cominciare dal più importante quotidiano italiano; un caso editoriale di cui si è servito l’establishment politico e culturale per rafforzare la nefasta dottrina dello scontro fra civiltà e tentare di farne senso comune. Nei suoi scomposti pamphlet, Oriana Fallaci ripropone argomenti e retoriche che per certi versi ricordano lo stile della letteratura antisemita: la riproposizione della teoria del complotto, la costruzione del capro espiatorio (questa volta identificato nei musulmani), la definizione dei migranti da paesi a maggioranza musulmana come “figli di Allah” che “si moltiplicano come topi” ed “orinano nei battisteri”… Ora, storici e scienziati sociali sono concordi nel sostenere che xenofobia e razzismo si fanno sistema e divengono davvero inquietanti quando sono veicolati dai mezzi di comunicazione di massa e legittimati dallo Stato: si può ipotizzare che sia questo, anzitutto, a preoccupare i mille e più firmatari. Essi sono, certo, una goccia nel mare e tuttavia rappresentano un piccolo, prezioso patrimonio di sensibilità e di reattività democratiche di cui converrebbe tenere conto: un frammento di quella “società civile”, troppo spesso evocata, che talvolta in effetti riesce a compensare le distrazioni della politica nel campo, pur decisivo, della difesa del principio della convivenza fra eguali e diversi. Come valorizzare questo patrimonio? Si potrebbe, per esempio, immaginare un’iniziativa pubblica di respiro nazionale da tenere a fine gennaio: che ne pensano i firmatari?