Scontri e vittime, se questa è tregua

Teoricamente dovrebbe esserci una tregua al confine tra Israele e il Libano. In pratica siamo già alla seconda dimostrazione della «semplice equazione» annunciata pochi giorni fà dal ministro israeliano degli Esteri Tzipni Livni: «se ci vuole tempo per l’organizzazione delle forze internazionali, ci vuole tempo per il ritiro di Israele». Ieri sera l’esercito israeliano ha aperto il fuoco nel villaggio di Shama, nel Libano sud-occidentale, provocando, secondo la televisone Al-Arabya, la morte di tre guerriglieri del Partito di Dio ed il ferimento di quattro militari israeliani. «Una forza ha identificato tre uomini armati avvicinarsi in modo minaccioso e i soldati hanno sparato», ha confermato un portavoce di Tsahal, smentendo la notizia sul ferimento dei suoi soldati ed il fatto che Hezbollah abbia risposto al fuoco. Nel frattempo anche il partito di Dio ha negato di aver subito perdite.
La mancata risposta di Hezbollah confermerebbe l’acordo politico della resistenza sciita con il governo libanese dimostrando di evitare ogni risposta alle provocazioni israeliane e rispettare la tregua del Consiglio di sicurezza. Del resto, condannando la prima violazione della risoluzione 1701 da parte israeliana, il ministro della difesa libanese Ellias Murr ha dichiarato ieri che «la resistenza è completamente d’accordo che ogni violazione della cessazione delle ostilità serve gli interessi di Israele». Murr ha tra l’altro promesso dure punizioni per chiunque risponda alle provocazioni israeliane con lanci di razzi. Aggiungendo che «ogni missile lanciato dal territorio libanese sarà considerato un atto di collaborazione con Israele. Sarà portato di fronte a un tribunale militare per tradimento e condannato come agente israeliano».
Mentre l’esercito israeliano prosegue il «secondo round» di attacchi preventivi volti all’eliminazione di Hezbollah, come del resto promesso dal ministro della difesa Amir Peretz, le diplomazie occidentali sono molto impegnate tra i vari «se» e «ma» relativi alle regole d’ingaggio dei caschi blu e all’applicazione della risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza. Oggi è prevista al Palazzo di Vetro un’intensa riunione tecnica tra il segretario generale dell’Onu Kofi Annan e gli addetti alla difesa delle rappresentanze diplomatiche che ha per obiettivo discutere il numero dei soldati della forza nazionale, il tipo di armi di cui dovranno essere muniti e le modalità di trasporto delle truppe. Annan ha peraltro chiesto all’Italia di guidare la missione internazionale. Anche in Europa continuano le discussionio sull’interpretazione della risoluzione del Consiglio di sicurezza: oggi è previsto l’arrivo a Parigi del ministro degli esteri israeliano Tzipi Livni che dopo i colloqui con le autorità francesi si dirigerà verso Roma per incontrare il ministro degli esteri Massimo D’Alema per concludere il suo tour diplomatico a Berlino e Copenaghen. Domani ci sarà invece un incontro dell’Unione Europea fortemente voluto dalla Francia per discutere le richieste delle Nazioni Unite per una forte presenza degli europei nella forza multinazionale e chiarire i punti oscuri della risoluzione riguardo all’uso della forza.
Le iniziative diplomatiche proseguono con se possibile ancor meno coesione sul fronte dei paesi arabi. Nel fine settimana si è concluso un incontro della Lega Araba, che oltre a discutere gli aiuti alla ricostruzione libanese, ha anche lanciato una proposta per un nuovo piano di pace israelo-palestinese, peraltro già freddamente accolto a Tel Aviv. E’ pesato nell’incontro l’assenza della Siria, criticata di recente da alcuni paesi arabi per le dichiarazioni fatte nell’ultima settimana dal presidente Bashar Assad in cui venivano condannati alcuni paesi arabi moderati (l’implicito riferimento era all’Egitto, alla Giordania e all’Arabia Saudita) rispetto a la posizione presa all’inizio dell’offensiva militare israeliane in Libano e per le critiche a Hezbollah e che hanno suscitato l’ira del presidente egiziano Moubarak.
E mentre fuori dai confini Israele continua a sparare nei territori di uno stato sovrano, anche a Tel Aviv si moltiplicano le attività dipolomatiche. Le autorità hanno di recente ricevuto il ministro turco degli esteri Abdullah Gul e quello olandese Ben Bot il quale ha detto che l’Europa attende «segnali da tutte le parti circa la serietà del loro impegno prima di mandare i nostri ‘ragazzi’ sul terreno». Non gli era ancora giunta notizia degli spari israeliani.