Sciopero degli impiegati pubblici, sotto scacco il governo di Hamas

Le scuole non riaprono. I netturbini non spazzano. Gli statali non vanno in ufficio. Da sabato l’ Autorità palestinese è paralizzata: il Paese che non c’ è si ferma per il suo primo sciopero nazionale. Tutta colpa di Hamas, o meglio dei soldi che non ci sono. È da sei mesi che il governo islamico non paga gli stipendi ai dipendenti pubblici. Acconti, due volte finora, ma niente che possa chiamarsi salario. Da quando l’ Europa e gli Stati Uniti hanno bloccato i finanziamenti all’ Autorità palestinese, dopo la vittoria elettorale degli islamici, che non rinunciano al terrorismo e non vogliono riconoscere Israele, da quando Israele ha deciso di strozzarli non versando più le rimesse fiscali che raccoglie per conto dell’ Anp, il governo di Haniyeh non è riuscito a trovare una risposta al (cruciale, perfino esistenziale) rebus delle finanze: ossia, come pagare i 165 mila dipendenti pubblici dell’ Autorità palestinese. Lo sciopero più grave è quello degli insegnanti. Sabato doveva iniziare l’ anno scolastico per 800 mila alunni. Invece, da Gaza a Tulkarem, aule chiuse. A oltranza. «Il governo Hamas – dice Awwad Barghouti, mentre porta il figlio Saed alle medie a Ramallah – è in una difficilissima posizione. O cede alla comunità internazionale o se ne dovrà andare». Il politologo Hani Al Masri: «Noi palestinesi non abbiamo niente tranne l’ educazione. Lo sciopero creerà enormi pressioni sul governo: se funziona ne accorcerà la durata. Se fallisce, l’ allungherà». Ed è così – come uno scontro tra Hamas e il Fatah del presidente Abu Mazen (che controlla il sindacato) – che gli analisti leggono la protesta nazionale. Una sfida a Hamas. Lo dice chiaramente il ministro degli Affari dei rifugiati, Atef Adwan, che gruppi «stranieri e interni stanno cospirando per rovesciare il governo». Che Hamas sia in grande difficoltà lo provano le dimissioni, ieri, del ministro Judal Khudari. E mentre il premier Haniyeh si prepara a tenere un discorso alla nazione giovedì, dall’ ufficio di Abu Mazen si diffondono voci che il presidente pensi sempre meno al governo di unità nazionale e preferisca indire invece nuove elezioni. È attorno all’ organizzazione e prevenzione di questo sciopero, però, che si mobilitano i due schieramenti. A Gaza i miliziani armati di Hamas circondano le scuole, spingendo a forza gli insegnanti a entrare. In Cisgiordania quelli del Fatah alzano barricate anti-crumiri. Il sindacalista Bassam Zakarneh (Fatah) canta vittoria: «Un’ adesione dell’ 85-90%». Non solo professori. A Gaza le strade sono inondate di sacchi d’ immondizia e il premier Haniyeh, per dare il buon esempio, s’ è presentato con la scopa in mano. Si sciopera negli ospedali e negli uffici pubblici, 80 mila persone in tutto. «La struttura della società palestinese rappresenta un enorme problema – spiega al Corriere il politologo Sattar Kassem -. L’ errore capitale, io l’ ho chiamato il tradimento, di Arafat». Spiega: dagli anni ‘ 90 nei territori sono stati persi 250 mila posti di lavoro, commercio e piccola industria. Li ha sostituiti Arafat, creando 100 mila nuovi statali. Una base clientelare pagata dal denaro dei donatori internazionali, Usa e Ue, che coprivano quasi tutto il bilancio dell’ Autorità. «Non ha capito, Arafat, che così si metteva in mano alle potenze straniere che possono aprire o chiudere i rubinetti a loro piacimento». Lo sta vedendo Haniyeh.