Sciopero contro il degrado

Treni fermi, secondo le previsioni. Lo sciopero di otto ore dei ferrovieri, proclamato da Cgil, Cisl, Uil, Orsa e altri, è riuscito. Solo i convogli «garantiti» hanno circolato con qualche certezza di arrivare a destinazione. Tra gli intercity, il 60% è rimasto in rimessa. Uffici e officine degli «impianti fissi» hanno scioperato per l’intera giornata, mentre il personale viaggiante (macchinisti, capitreno, ecc) si è fermato dalle 9 alle 17. Le ragioni della protesta, d’altro canto, sono praticamente infinite. Si va dai tagli degli investimenti previsti nella Finanziaria – meno 11 miliardi di euro, più 569 milioni in conto esercizio; in pratica la condanna alla paralisi – al mancato rispetto di molti accordi, dal lavoro precario alle prevaricazioni sui posti di lavoro. Che le Ferrovie dello stato stiano in una fase molto difficile non è più un segreto per nessuno. Il ripetersi dello scandalo dei «vagoni con le pulci» ha messo in luce come la politica del «taglio dei costi» sia alla fin fine un disastro. Le pulizie dei treni, infatti, sono da anni affidate a imprese private (o «cooperative» solo di nome) che vincono gli appalti in gare al «massimo ribasso». L’illusione era quella di avere treni puliti da terzi a un costo seriamente minore di quello sopportato con personale «proprio»; la realtà parla di treni – tranne forse gli eurostar, per ora – ridotti a ricettacolo di parassiti.

Ma la stessa politica – che ha avuto il suo «uomo-forte» in Giancarlo Cimoli, ora «prestato» all’Alitalia con risultati anche peggiori – ha portato a drastiche riduzioni del personale operante, con il risultato che sempre più spesso, per far fronte alle necessità, l’azienda ricorre a personale precario, «in prestito» o a suo tempo «esternalizzato». La qualità (e puntualità) del servizio, in queste condizioni, sta andando a farsi friggere. Ma l’esempio più clamoroso resta quello dell’«uomo morto», ossia il sistema Vacma, che l’azienda vorrebbe imporre ai macchinisti in modo da ridurre da due a uno i conducenti per ogni treno. Questo sistema richiede che il macchinista prema un pedale ogni 55 secondi, in modo da segnalare di esser sveglio, altrimenti parte la frenata automatica. I macchinisti si rifiutano di adottarlo – alcune proteste spontanee, nei giorni scorsi, sono consistite nel non usarlo, facendo così fermare o rallentare molti treni in diverse regioni. In primo luogo perché distrae l’attenzione dalla guida, e poi perché esistono tecnologie più efficienti, come la «ripetizione dl segnale in macchina», che garantisce la fermata del convoglio anche se il macchinista non dovesse aver visto un semaforo rosso.

Sull’abolizione del Vacma dai locomotori, Fs e sindacati stavano – pare – per raggiungere un’intesa, quando il ministro delle infrastrutture, Lunardi, ha posto il veto: il Vacma deve restare. Nonostante diverse Asl lo abbiano giudicato nocivo per la salute del macchinista e fonte di pericolo per la circolazione ferroviaria. E’ stata l’ultima goccia che ha fatto traboccare il vaso della pazienza di sindacati di categoria che pure non avevano affatto scarseggiato, fin qui, di questa dote. Tra i ferrovieri, sulla «arroganza dell’azienda», si ascoltano ormai storie che hanno dell’incredibile, come l’imposizione di «non frazionare» su più periodi il permesso per «paternità» (riducendone così l’utilizzo effettivo).

Lo sciopero, si diceva, è riuscito. Ma non tutti credono che ciò basti a ripristinare l’identificazione tra lavoratori e sindacato. Nelle ferrovie, infatti, pesano ancora molto gli effetti del processo di «privatizzazione e societarizzazione» dell’azienda, avviato sotto i governi dell’Ulivo e imbarbarito poi da quello attuale. «La `resistenza’ sindacale all’avvio del processo, per così dire, non fu memorabile» – ci spiega un ferroviere protagonista dell’Assemblea del 12 gennaio (riunitasi subito dopo l’incidente di Crevalcore, che provocò 17 morti tra cui 4 ferrovieri). «Di fronte alle forzature anche giuridiche dell’azienda abbiamo scioperato tutti, come sempre. Ma questi sindacati non possono più innescare un `movimento’».