I repubblicani hanno avviato un’indagine contro tre illustri climatologi
Le reazioni Diciotto studiosi da Harvard a Princeton, compreso qualche conservatore, hanno espresso la loro «profonda preoccupazione»
Mentre il Pentagono invia navi ed elicotteri nel sud devastato da Katrina, mentre i media americani fanno pubblica ammenda per non aver stressato abbastanza il problema del «global warming», c’è da chiedersi come se la passino invece i convinti oppositori del surriscaldamento del pianeta, adesso che le sue dirette conseguenze si stanno manifestando molto esplicitamente sugli Stati uniti. C’è da chiedersi soprattutto come se la passi Joe Barton, un repubblicano originario del Texas, che come presidente della commissione sull’energia e il commercio, ha passato gli ultimi 11 anni ad osteggiare qualsiasi tipo di legislazione per combattere il cambiamento climatico.
La sua ultima iniziativa, che è già stata paragonata alla «caccia alle streghe» anti-comunista di McCarthy, è stata quella di aprire un’indagine contro alcuni dei maggiori scienziati americani, dopo averli attaccati per mancanza di trasparenza riguardo ad alcune ricerche sul riscaldamento della terra, a risultato delle quali era stato messo in evidenza il legame fra le emissioni di carbonio umane e l’aumento della temperatura globale.
Proprio in questi giorni i tre esperti climatologi in questione hanno dovuto consegnare tutto il materiale finora pubblicato e tutte le informazioni esistenti sui loro lavori a Barton, che fra le altre cose è anche uno dei sostenitori più stretti delle campagne sul petrolio di Capitol hill.
Michael Mann, direttore del centro scientifico sul sistema terrestre dell’università della Pennsylvania, Raymond Bradley, direttore del centro di ricerche climatiche dell’università del Massachusetts, e Malcolm Hughes, ex direttore del laboratorio di ricerca dell’università dell’Arizona, hanno ricevuto a fine giugno la stessa lettera dal tono perentorio, in cui Barton intimava loro di consegnare informazioni dettagliate sui loro studi, fra cui una lista di «ogni supporto finanziario che avete ricevuto in relazione alle vostre ricerche» specificando «la collocazione di tutti gli archivi di dati riferiti ad ogni vostro studio pubblicato». Il materiale, a detta di Barton verrà analizzato e valutato dal Congresso e poi sottoposto al giudizio della sua commissione.
L’indagine è sorta dopo un articolo del Wall street journal, in cui un economista ed uno statista canadesi, nessuno dei due climatologo, criticavano uno studio dei tre scienziati evidenziandone difetti metodologici ed errori di calcolo. Lo studio evidenziava un rilevante aumento delle temperature nel ventesimo secolo e conteneva un grafico, deriso dagli scettici come «la mazza da hockey», che ne riassumeva l’impennata.
Premesso che secondo altri scienziati ci sono talmente tanti riscontri del surriscaldamento della terra che se anche il lavoro di Mann e compagni contenesse errori drammatici il quadro non cambierebbe, ciò che ha scandalizzato i luminari americani – e non solo – è lo scrutinio senza precedenti a cui i politici americani hanno sottoposto la scienza.
Diciotto scienziati da Harvard a Princeton hanno scritto a Barton esprimendo una «profonda preoccupazione» e spiegando che la richiesta di tutto quel materiale «può essere vista come un’intimidazione – intenzionale o meno – che rischia quindi di compromettere l’indipendenza dell’opinione scientifica, vitale per la prominenza della scienza americana e per l’oggettività della scienza nei confronti del governo». Le reazioni politiche sono state anche più forti e sorprendentemente le parole più dure vengono da un altro repubblicano, Sherwood Boehlert. In una lettera a Barton ha dichiarato che «vedere il congresso che mette il naso in un dibattito scientifico è veramente agghiacciante».