Vittoria schiacciante del sì e del presidente Rafael Correa nel referendum di domenica per la costituente, qui in Ecuador. Nel pomeriggio di ieri, con il 60% dei voti scrutinati, il sì era all’81%, il no al 12%, i nulli al 5% e i bianchi sotto l’1%. Il popolo ecuadoriano è stato chiamato alle urne a esprimersi sul punto principale della «revolucion ciudadana» promessa da Correa – l’amico di Chavez e di Morales, il sostenitore della rivoluzione bolivariana verso un’America latina unita e sovrana – per cambiare dalle fondamenta il paese.
Domenica si è votato per istituire, con un nuovo voto di qui a qualche mese, un’assemblea costituente con pieni poteri: che oltre a riscrivere la costituzione abbia l’autonomia di modificare e riorganizzare anche i tre poteri (esecutivo, legislativo,esecutivo).
Incassato l’ 81.5% dei sì, si procederà ora alla costituzione delle liste, alla raccolta delle firme e all’elezione dei membri dell’assemblea, la cui campagna elettorale sarà finanziata dallo Stato, perché tutti abbiano la stessa possibilità di partecipare ad armi pari (vietati tutti i finanziamenti privati).
Nonostante l’aggressiva campagna contro la assemblea costituente portata avanti dalla destra conservatrice (i principali media in testa), che storicamente ha amministrato il potere insieme ai grandi interessi economico-finanziari e che nella dollarizzazione dell’economia (dal 2000) ha ampliato vertiginosamente i suoi guadagni mentre la povertà è aumentata a ritmo altrettanto vertiginoso, 8 ecuadoriani su 10 hanno rinnovato il loro sostegno al progetto politico di Correa: l’economista cattolico schierato contro la dollarizzazione (anche se ha ancora domenica ha ribadito che non sarà toccata nei 4 anni del suo mandato) e il principale animatore della protesta dei forajidos (i «fuorilegge») che nell’aprile del 2005 scesero in strada, bloccarono il paese e cacciarono del presidente Lucio Gutierrez, che aveva clamorosamente tradito gli impegni presi (al momento, privato dei diritti politici dalla magistratura, è uno dei capi dell’opposizione sconfitta nelle urne).
«Non è una vittoria mia – ha detto un giubilante Correa – ma del popolo ecuadoriano: è finita l’epoca della soggezione, ora è il popolo che decide. Il governo e il presidente sono solo esecutori passeggeri, chi deve progredire è tutto il popolo ecuadoriano. Con la nuova costituente si creerà il contesto legale idoneo ed io tornerò a casa con la coscienza pulita. Non mi è mai interessato il carrierismo politico, io voglio solo servire il mio paese» .
A quanti lo accusano di non aver svolto un ruolo garantista e di essere stato il principale attore della campagna referendaria risponde che «saranno quattro anni di governo in cui io sarò in campagna perenne: contro la vecchia classe politica corrotta, contro gli interessi dei singoli a danno dei più».
Il percorso intrapreso dal governo Correa segue i passi di Venezuela e Bolivia. E questo preoccupa l’opposizione. Correa, che ha appena firmato accordi con Chavez per la costruzione di raffinerie in Ecuador e per la raffinazione, nel frattempo, del petrolio ecuadoriano in Venezuela – così da por fine all’assurdo di dover riacquistare il proprio petrolio raffinato a cifre esorbitanti – già ieri è partito per l’isola di Margarita dove parteciperà oggi alla prima Cumbre energetica dell’America latina. Correa solo un giorno dopo l’analogo annuncio di Chavez, ha dichiarato che anche l’Ecuador ha saldato i suoi debiti con l’Fmi – «basta con i ricatti dell’Fmi» – e che il rappresentante della Banca mondiale a Quito – accusato di esercitare «ricatti» a beneficio delle compagnie petrolifere straniere – sarà espulso dal paese.
Il vento nuovo che soffia sull’America latina sembra sia arrivato anche qui in Ecuador.