L’Ucraina, con i suoi 603.700 Kmq e circa 50 milioni di abitanti, ha fatto parte, fin dal 1654 (attraverso un’unione volontaria in funzione antipolacca), dell’impero zarista e, in seguito, è diventata la più importante (dopo la Russia) delle repubbliche europee che costituivano l’ Unione Sovietica. La popolazione è costituita per circa il 70% da ucraini, che parlano una lingua slava orientale (che alcuni linguisti russi, con una forzatura, considerano addirittura una variante dialettale del russo) e praticano in maggioranza la religione cristiana ortodossa, attraversata da una lacerante scissione tra fedeli al patriarcato di Kiev e a quello di Mosca. Nella parte occidentale, dove le manifestazioni nazionalistiche appaiono più esasperate, circa 5 milioni di abitanti si professano cattolici di rito greco (uniate). Circa un quarto della popolazione è rappresentata da russi, concentrati nei centri urbani, nelle regioni orientali e soprattutto nella penisola di Crimea (dove rappresentano il 67% e fortissime sono le spinte al ricongiungimento con la Russia, da cui la Crimea fu staccata, in epoca sovietica, nel 1954), mentre una parte consistente degli stessi ucraini, abitanti in queste zone del paese, considera il russo come propria “lingua madre”. Gli ebrei, molto numerosi prima dello sterminio nazista, sono ridotti a 500.000 circa.
Nell’agosto del 1991, violando la volontà popolare espressa nel corso del referendum “sull’Unione” svoltosi nel marzo dello stesso anno, la “nomenklatura” del partito comunista ucraino, che fino ad allora aveva mantenuto un atteggiamento molto prudente (tanto da essere inclusa nel fronte dei cosiddetti “conservatori” ostili alla “perestrojka” di Gorbaciov), prendeva la testa delle posizioni separatiste più oltranziste e dichiarava la sua indipendenza da Mosca. L’ex comunista Leonid Kravciuk veniva eletto presidente nel dicembre del 1991 e, insieme a Eltsin e a Suskievic (leader bielorusso), siglava lo scioglimento dell’URSS. Da quel momento il regime al potere, allineatosi alle raccomandazioni che venivano dall’Occidente, ha condotto una politica ispirata ideologicamente al più esasperato nazionalismo, manifestatosi, soprattutto nell’emarginazione e nella discriminazione della minoranza russa. Sul piano delle scelte economiche, il paese ha subito la continua pesante pressione degli organismi internazionali, che aveva lo scopo di costringerlo ad adottare piani di riforma improntati ai modelli neoliberisti. Gli effetti della subalternità a tale politica sono stati devastanti: il discreto sistema di infrastrutture che stava alla base dello “stato sociale” sovietico è stato smantellato e oggi l’Ucraina è uno dei paesi più poveri d’Europa, dove secondo dati ufficiali, 100 persone abbandonano quotidianamente il paese in cerca di condizioni migliori di vita all’estero. In Ucraina sono venuti emergendo, in maniera impressionante, fenomeni di “economia criminale”, attraverso il diffondersi di “clan” strutturati a livello regionale, che rappresentano la base materiale dell’esistenza di molte delle strutture di potere, a cominciare dai partiti che, di volta in volta, si sono succeduti al governo. L’allentamento dei legami con la Russia e con gli altri componenti del mercato ex sovietico, da cui l’Ucraina dipendeva per il rifornimento delle risorse energetiche, ha avuto inevitabili conseguenze nel drastico ridimensionamento dell’apparato produttivo. Nel 1994, l’avvento alla presidenza della repubblica di Leonid Kuchma (riconfermato nel 1999), uomo legato ai potentati della regione mineraria del Donetsk (i più dipendenti dai legami economici con la Russia), con la confluenza dei voti delle sinistre e dell’elettorato “russofono” al secondo turno, ha fatto sperare in un relativo ammorbidimento delle forme più intransigenti di nazionalismo. E ciò, almeno in parte, è avvenuto. Ma, nel complesso, il processo di “ucrainizzazione” è proseguito, trovando il più prezioso supporto nell’atteggiamento dell’Occidente, in particolare degli Stati Uniti, che, dal momento dell’implosione dell’URSS, non solo considerano l’Ucraina uno “stato cuscinetto”, ma nutrono l’ambizione di inglobarla nel sistema di alleanze politiche, economiche e militari da essi controllato, spingendo per l’ingresso formale di Kiev nella NATO. Gli USA, nella loro politica di pesante ingerenza nella politica interna, di cui hanno cercato di condizionare tutti i passaggi fondamentali, hanno fatto affidamento soprattutto sugli ambienti economici e sulle “elite” intellettuali dell’Ucraina occidentale. E, grazie al massiccio sostegno ottenuto oltreoceano, sono proprio le forze di orientamento nazionalista e filoccidentale (comprendenti anche gli eredi del collaborazionismo con l’occupazione nazista), che, nel corso delle ultime elezioni politiche del marzo 2002, hanno ottenuto un significativo successo (il blocco “Nostra Ucraina” di Viktor Juschenko è al primo posto, con il 23,6%, mentre i suoi alleati del blocco elettorale di Julija Timoshenko raggiungono il 7,2%). Il partito del presidente, “Per l’Ucraina Unita”, non supera l’11,8%, pur ottenendo molti deputati nei collegi uninominali, che gli permettono comunque di governare insieme a raggruppamenti elettorali minori e a numerosi deputati “indipendenti”. Ma dopo le elezioni del 2002, il corso politico del paese, che, con l’avvento del nuovo secolo, sembrava aver imboccato la strada del riavvicinamento alla Russia, soprattutto sul piano della collaborazione economica e attraverso la progressiva integrazione nei meccanismi comunitari che sono stati creati nell’ambito della Confederazione degli Stati Indipendenti (CSI), premuto dalla massiccia agitazione dello schieramento nazional-liberista, che punta direttamente al controllo del potere (in vista delle imminenti elezioni presidenziali), è andato gradatamente riorientandosi verso l’Occidente, annunciando nel maggio 2002 l’intenzione di abbandonare la neutralità, attraverso la richiesta formale di ingresso nella NATO. In seguito l’Ucraina ha inviato un contingente di ben 1.600 uomini (sotto comando polacco) in Iraq, prendendo parte attiva alle operazioni di repressione della resistenza. Anche con la Russia si sono manifestate nuovamente frizioni, con l’apertura di un contenzioso territoriale in Crimea. Allo stesso tempo, sul piano interno, è andata accentuandosi la stretta repressiva nei confronti del forte movimento operaio e antimperialista presente nel paese, attraverso gli imprigionamenti e l’uso della tortura, fino a provocare la morte di militanti dell’estrema sinistra, accusati addirittura di “cospirazione”. Oggi in Ucraina è presente un forte “Partito Comunista di Ucraina” (KPU), che raccoglie il 20% dei suffragi elettorali, concentrati nelle regioni centro-orientali del paese e in Crimea (dove ottiene la maggioranza assoluta), in particolare tra la minoranza russa. Se poi al KPU aggiungiamo i voti del “Partito Progressista Socialista di Ucraina” (PSPU) di Natalija Vitrenko e di alcune altre formazioni (che però non hanno superato lo sbarramento del 4%, previsto per accedere alla Rada), possiamo affermare che le forze comuniste rappresentano oltre un quarto dell’elettorato. Il KPU, presieduto da Piotr Simonenko, si batte con energia, nel Parlamento (Rada) e nel paese, sia contro i metodi autoritari e le pratiche di devastazione sociale, di corruzione dilagante e di collusione con le mafie regionali che caratterizzano il regime di Kuchma, che contro le ingerenze imperialiste e le forze che rappresentano più coerentemente gli interessi occidentali. Il KPU e’ infatti il partito che più preme per un’accelerazione dei processi di integrazione con la Russia e con gli altri paesi dello spazio postsovietico. Non è escluso che la consapevolezza della minaccia incombente di definitivo assoggettamento del paese all’egemonia americana possa indurre il partito, con l’approssimarsi delle elezioni presidenziali previste nel 2004, a ricercare una convergenza con i settori “filorussi” presenti nello schieramento centrista al governo. Tra le forze di sinistra c’è da annoverare anche il Partito Socialista di Ucraina (SPU) di Aleksandr Moroz, che, al momento della proclamazione dell’indipendenza aveva offerto copertura legale ai comunisti posti temporaneamente fuorilegge, e che, con il 6,9% dei voti, si proclama oggi “socialdemocratico” e che si schiera al fianco della coalizione nazional-liberista.