Scatti e memoria di un partito che fu: il Pci

Non fiori ma nemmeno opere di bene. Senz’anima ma anche senza passato, dopo aver seppellito (vivo) il Pci a Rimini, a Firenze ne hanno sotterrato anche la memoria. Freddamente, trascolorati, mutati in un quindicennio fino ad essere altri, irriconoscibili, così lontani da Marx, così vicini a Intesa-San Paolo: egregi democratici in fieri, dove suona strana anche la parola socialismo (vero, Mussi?). Eppure la storia non è un colpo di spugna, e a volte si vendica (anche sottoforma di minacciosi sondaggi portatori di bassi orizzonti…).
Il Pci è morto un’altra volta, viva il Pci. Non è certo un “coccodrillo” questo libro-monumento – Eva Paola Amendola, “Storia fotografica del Partito comunista italiano”, Editori Riuniti, euro 48 – ristampato 25 anni dopo la prima pubblicazione e a 15 dalla sparizione del “soggetto” cui è dedicato. E casca proprio a puntino parlarne oggi, nel giorno degli smemorati di Firenze. Cinquecentodieci pagine e ottocentotto fotografie, un emozionante auto-ritratto di partito, ma anche il film di quasi cento anni di storia, un grande «affresco dell’Italia tutta». Aggiornato, rispetto alla prima edizione, sino alla morte di Berlinguer (1984) e al febbraio 1991, anno dell’ultimo congresso, il volume si sottrae alle lacrime e ai fiori della “operazione nostalgia”, mantenendo intatto nel tempo il suo carattere di documento, di racconto storico e collettivo, di “ripasso” generale di un lungo periodo politico. Nato senza forzature ed enfasi quando il Pci era ancora ben vivo – la prima edizione in due volumi si arresta al 1981, sessantesimo della sua fondazione – il libro ripropone senza cambiare una virgola anche il saggio introduttivo che porta la firma inattaccabile di Paolo Spriano. Un bel punto fisso, un fermo-immagine quasi “temerario” in tempi di revisionismo facile e violentemente distruttivo. E anche le schede che introducono le foto sono le stesse della prima edizione, inquadrano le sequenze iconografiche, raccontano i fatti, gli uni e le altre, come tutti sanno, assai difficili da confutare. Certo, «non è stato facile – scrive Eva Paola Amendola – riprendere un lavoro concluso 25 anni fa e selezionare, alla luce delle nuove esigenze editoriali, immagini che, con il passare del tempo, hanno, se possibile, aumentato ancor più il loro potere di suggestione».
Il Pci e il suo contesto, la documentazione di «un cammino – scrive Spriano – che è sempre stato faticoso ma reale. Quando questo libro arriva in libreria, già da tempo sono in campo i tentativi di demolizione o demonizzazione, «l’immagine del Pci – scrive Spriano, sbagliandosi, il peggio doveva ancora arrivare – forse non è mai stata così deformata dagli “altri” come nell’ultimo decennio», sottoposta com’è «a un processo intentato perennemente alla sua storia e alla sua “diversità”, alla continua richiesta di esami di credibilità e di identità».
Un libro tanto più “buono ” da sfogliare oggi, dunque, quando l’intento di spazzare via Pci e tutta la sua grande storia può apparire compiuto. Ma forse non così facile. Guardate queste foto e capirete perchè. La storia per immagini come quella che qui si è voluto ricostruire, è infatti la storia di «un partito di popolo», una storia «che guarda alle radici, alle frondosità dell’albero, alle foglie cadute e a quelle che sono rinverdite». Dall’innesto del comunismo, sul tronco del socialismo, anzi del “libero pensiero” repubblicano e anarchico dei primi decenni postunitari, alle lotte per l’emancipazione del lavoro sfruttato (con il suo fervore associazionistico e suoi valori di solidarietà, il suo orgoglio di classe), quel filo attraversa tutto: la “settimana rossa” e gli scioperi repressi nel sangue, il sorgere e l’affermarsi «per usare la felice espressione di Gramsci, di quello “spirito di scissione” delle classi subalterne da quelle dominanti». In sostanza, quel filo comunista attraversa l’intera storia del Novecento, in Italia e nel mondo: l’Internazionale “futura umanità”, l’effetto dirompente dei “fatti di Russia”, il Ventennio e gli Arditi del popolo, il Komintern e “l’oro di Mosca”, il confino e il partito clandestino, i garibaldini di Spagna, la Resistenza e i fratelli Cervi, la Costituente e la Repubblica, il ’68 e il ’77, Togliatti e Berlinguer, Di Vittorio e Dozza, Picasso e i partigiani della Pace, il Vietnam e Cuba, le grandi vittorie elettorali e il compromesso storico. Il primo congresso delle “Tesi di Lione” e l’ultimo di Rimini, l’estinzione. Ma dentro questo formidabile archivio “particolare”, dentro questa storia di partito (che, a tratti, «fu anche travagliatissima»), si muove ed emerge «un mondo sociale, una geografia di contrade, una civiltà di mestieri», quel mondo di salariati e braccianti che si fa classe. Ed è appunto questa la storia del Pci impossibile da archiviare.
Tra le più note foto “emblematiche” di tale storia, non a caso Paolo Spriano cita quella di Togliatti che, giunto a Milano nel maggio 1945, subito dopo la liberazione della città, è ricevuto dai maggiori dirigenti del partito, «già capi della Resistenza garibaldina, gli uomini che, con profondo spirito unitario, all’interno del Cln, hanno guidato una lotta di venti mesi, portato sul piede di guerra la classe operaia, facendone la forza fondamentale per la rinascita e il rinnovamento del Paese». In quella foto “emblematica”, i visi di Longo, Secchia, Amendola, Scoccimarro «sono tesi, magri, i lineamenti tirati; quel mazzolino di fiori che Togliatti tiene in mano con imbarazzo è il segno di un augurio per un domani che si annuncia libero ma difficile».
Foto d’epoca, a suo modo imperdibile. Quella appunto di un Togliatti, anno 1945, il quale «agli operai di Milano e Torino appena insorte non parla di una impossibile rivoluzione socialista, parla della necessità di sviluppare quella rivoluzione democratica», che ha appena iniziato i primi passi ed è già insidiata.
Foto d’epoca di quel partito – di massa, di popolo, nazionale – che fu il Pci. Foto incancellabile, egregi democratici in fieri, Firenze, 2007.