Scatta l’allarme pensioni ma Damiano frena

Le pensioni ritornano al centro dell’attenzione. Anche se i termini sono – per ora – molto confusi. Nelle polemiche di questi giorni si sovrappongono infatti piani diversi, che sarà bene tenere ben distinti al momento delle scelte. E che sarà bene specificare anche in termini di comunicazione con una opinione pubblica da sempre molto sensibile al problema della previdenza. I punti in discussione sono almeno quattro: la riduzione dei coefficienti di trasformazione (ovvero il rapporto tra pensioni e ultima retribuzione), la cancellazione del famoso «scalone» di Maroni (innalzamento dell’età pensionabile dal 2008), l’aumento dei contributi previdenziali per i lavoratori atipici e in generale per gli autonomi e infine l’anticipo della riforma della previdenza complementare (i fondi pensione), che il precedente governo di centrodestra aveva deciso di far slittare di un anno.
Andiamo con ordine. Sulla questione della riduzione dei coefficienti di trasformazione (e quindi del valore finale delle rendite previdenziali) è stato sollevato un vero polverone contro cui giustamente sono già intervenuti vari sindacalisti, da Morena Piccinini della Cgil a Pier Paolo Baretta, segretario generale aggiunto della Cisl, passando per la segretaria generale dell’Ugl, Polverini. Ha fatto scalpore per esempio l’anticipazione rilanciatadomenica dal Sole24ore sulle intenzioni del governo Prodi che si appresterebbe a tagliare del 6-8% i coefficienti di trasformazione delle pensioni. Baretta, Piccinini e Polverini hanno polemizzato immediatamente contro il taglio delle pensioni che deriverebbe da questo intervento. In particolare Morena Piccinini ha ricordato che l’intervento sui coefficienti era condizionato (secondo la riforma Dini) alla verifica che si sarebbe dovuta tenere dieci anni dopo dal varo della riforma stessa. La legge Dini (che come si ricorderà è stata approvata dai sindacati confederali e sottoposta al referendum dei lavoratori) avrebbe dovuto essere messa in verifica nel 2005. Il governo Berlusconi si è però guardato bene da attuare questa verifica che, sempre secondo Piccinini, avrebbe dimostrato il grosso risparmio già attuato e quindi l’assoluta inutilità di un taglio delle pensioni pubbliche.
Dal ministero del lavoro smentiscono però le cifre diffuse dai quotidiani. Non si è mai parlato di un taglio dal 6 all’8% dei coefficienti di trasformazione. La riduzione del peso delle pensioni pubbliche non è un intervento motivato dal buco dei conti pubblici e quindi dalla necessità di fare cassa. La riduzione in percentuale della pensione pubblica è già prevista appunto dalla Dini. Ora si attende la riunione del Nucleo di valutazione della spesa pensionistica (l’appuntamento è previsto per il 28 giugno prossimo) per capire lo stato reale dei conti previdenziali. Una prima riunione del Nucleo c’è già stata la scorsa settimana. L’unica cosa certa, secondo i sindacati, è che comunque le pensioni dei lavoratori si stanno progressivamente riducendo. Si calcola che il rendimento delle pensioni calcolate solo con il contributivo piuttosto che con il retributivo sarà inferiore di almeno il 7%.
I sindacati chiedono però che di queste cose non si discuta sui media, ma che sia avviato immediatamente un confronto con il governo. Potrebbe essere quella la sede per chiarire gli altri punti in sospeso: l’eventualità del superamento dello scalone di Maroni e l’anticipazione del (ri)lancio dei fondi pensione: entrambi gli argomenti hanno bisogno però di risorse. Un altro punto che sta molto a cuore del ministro Damiano è quello dell’innalzamento dei contributi per cocoprò e autonomi. Bisogna però stare attenti – suggeriscono dal Nidil-Cgil – agli effetti controproducenti: gli imprenditori potrebbero cioè versare più contributi, ma abbassando le retribuzioni. Si è invece intanto smorzata la polemica sull’età pensionabile delle donne. Anche le anticipazioni di un innalzamento dell’età per tutto il lavoro al femminile sono state smentite da Damiano.