Il 18 Giugno, a Scandiano si è svolto un’interessante convegno dal titolo “Dai campi di concentramento fascisti alle foibe”, con relazioni di importanti partigiani, storici, scrittori, e politici triestini (Kersevan, Scotti, Canciani e il partigiano Marmiroli Camillo).
Tutti i relatori si sono soffermati sulle politiche repressive volte alla “snazionalizzazione” delle minoranze slovene e croate nel territorio triestino e istriano, da parte dei fascisti. Repressione che si manifestò con il divieto di comunicare in sloveno e croato; con il rogo dei centri culturali sloveno-croato; con la violenza fisica e i pestaggi delle camice nere verso i militanti di sinistra, i professori e i preti di lingua “slava”. Repressione che durante l’occupazione dell’Istria croato-slovena arrivò alla deportazione nei campi di concentramento fascisti (Gonars, Arbe ecc.) di decine di migliaia di “slavi” (si calcola che in questi campi di concentramento morirono di stenti 7000 croato-sloveni). Per non contare i roghi di villaggi, e le giutizie sommarie di contadini colpevoli di abitare vicino ad un avamposto italiano attaccato dai partigiani Jugoslavi. Se partiamo da questo contesto storico ci sembrerà sempre orribile, ma additabile alle violenze fasciste durante il ventennio, capire come mai durante l’occupazione di Trieste da parte dei partigiani Jugoslavi, 600 (questa è la vera cifra), gerarchi fascisti, torturatori, camice nere, spie, delatori finirono nelle foibe.