Scambio di accuse fra i Poli sul ritiro dall’Iraq

Hanno rischiato grosso ieri mattina i militari italiani a Nassiriya. Erano in 29, la maggior parte carabinieri, accompagnati da un interprete iracheno. Su cinque automezzi blindati avevano appena superato uno dei tre ponti sul fiume Eufrate, quello più a sud denominato Charlie, quando è esplosa una bomba. Un ordigno telecomandato. Erano le 9,45 (le 7 e 45 in Italia). La deflagrazione è avvenuta a circa 200 metri dai veicoli. Nessuna scheggia ha investito il convoglio che era diretto ad Al Gharraf, un villaggio 40 chilometri più a nord. Lì gli italiani erano attesi per concordare la distribuzione di aiuti umanitari. I danni dell’esplosione li hanno subiti due iracheni che passavano in macchina. Hanno riportato varie ferite.
Nei giorni scorsi si erano sviluppate a Nassiriya alcune manifestazioni di piazza. Non avevano causato incidenti, e tuttavia segnalavano una certa turbolenza. Non è chiaro se l’attentato di ieri sia una conseguenza di questa improvvisa ripresa della protesta. Si sospetta che «alcuni elementi venuti da fuori» cerchino di far salire la tensione. Un mese fa un altro ordigno era esploso al passaggio di un convoglio di italiani. In quel caso un soldato subì una leggera ferita.
L’attacco di ieri ha riacceso la polemica sulla missione e sul problema ritiro sì, ritiro no. «La situazione – osserva Romano Prodi – si deteriora ogni giorno di più e conferma la tesi dell’Unione. Conferma la nostra linea e la rende ancora più evidente».
Ma qual è la linea dell’Unione?, chiede Pippo Fallica (Forza Italia), della commissione Difesa della Camera. Quella di Fassino, che «annuncia la permanenza dei soldati fino alla fine del 2006», oppure quella «della sinistra oltranzista che esige il ritiro immediato?».
Non ha dubbi Marco Rizzo (Pdci): «Berlusconi ha portato l’Italia in guerra per compiacere Bush, ma il governo di centrosinistra dovrà disporre il ritiro immediato delle truppe dall’Iraq». Concorda l’altro leader del Pdci Oliviero Diliberto che vede nei rischi ai quali i soldati sono esposti «un motivo in più per portarli via quanto prima». Invece l’Udeur di Mastella, per bocca di Mauro Fabris, fa sapere che è indispensabile concordare «l’uscita dal pantano iracheno col governo di Bagdad e coi nostri alleati».
E’ chiaro che nel centrosinistra non c’è ancora un’idea comune. Se Pecoraro Scanio (Verdi) pretende che «con la vittoria dell’Unione» il ritiro inizi «il giorno dopo le elezioni», il leader ds Fassino ritiene necessario mantenere le truppe fino a dicembre prossimo. Cosa che fa imbestialire Claudio Grassi (Prc) perché questo è «in contrasto con la richiesta del movimento pacifista».
Dall’Iraq intanto arrivano notizie terribili. Non solo gli italiani. Anche i militari inglesi hanno subito un attentato alla periferia di Amarra, nel sud del Paese. A loro è andata peggio. Almeno due ci hanno rimesso la vita e un terzo è rimasto ferito. Questo in base alle informazioni rilasciate dal comando britannico. Mentre il capitano Mohammed Radi, della polizia irachena, afferma che i militari inglesi morti sarebbero almeno quattro. Facevano parte di una pattuglia, al cui passaggio è esplosa una bomba nascosta al margine della strada.
Su buona parte del territorio iracheno la guerriglia imperversa da mercoledì scorso, quando due bombe sbriciolarono la cupola della Moschea d’Oro a Samarra, un luogo sacro degli sciiti. Fra sunniti e sciiti si è innescata una catena di vendette e rappresaglie che fino a ieri nella sola Bagdad aveva provocato 380 vittime. Una cifra che, secondo fonti americane, sarebbe in realtà molto più alta, addirittura si conterebbero 1300 cadaveri.
Perfino la tomba del padre di Saddam a Tikrit è stata mandata in frantumi con una carica esplosiva. L’ex dittatore, che ha interrotto lo sciopero della fame, era ieri in aula per il processo. L’accusa ha presentato il documento con cui Saddam firmò la condanna a morte di 148 sciiti nel 1982.