«Sayonara, Baghdad», anche i giapponesi se ne vanno

Quando si dice l’efficienza giapponese. Fino a qualche mese fa sembrava che il contingente militare rischiasse di restare a tempo indeterminato, magari oltre gli stessi americani. Poi, negli ultimi giorni, l’improvvisa accelerazione. Fuori subito. E siccome Koizumi non deve mettere d’accordo una variopinta coalizione – né preoccuparsi troppo di questioni logistiche, viste le modeste dimensioni della spedizione (appena 500 uomini), ecco l’annuncio ufficiale. «Poiché il governo iracheno ha annunciato l’intenzione di assumere il comando militare della provincia di Muthanna – ha spiegato ieri mattina ai giornalisti un Koizumi di ottimo umore – anche noi abbiamo deciso di anticipare il rientro delle truppe….» Entro quando? «Questione di settimane, forse di giorni, più tardi ne parleremo con il minstro della difesa Nukaga….». Insomma, se tutto va bene, entro una paio di settimane, al massimo, fine luglio. Talmente semplice che i giornali giapponesi riportano in serata la notizia di spalla, riservando l’apertura della prima pagina al Mundial e alla guerra delle bistecche (anch’essa in procinto di soluzione).
Favorito dall’assenza di domande impertinenti Koizumi si è lanciato in una appassionata difesa del sul suo operato, sostenendo che la storica e coraggiosa decisione di inviare le truppe in Iraq non solo ha portato un enorme contributo al popolo iracheno, ma ha fortemente elevato l’immagine internazionale del Giappone. «Siamo un paese sul quale la comunità internazionale può contare», senza ovviamente dare il tempo a qualche collega di chiedere come mai, allora, ogni speranza di essere «cooptato» come membro permanente del Consiglio di Sicurezza sia stata ormai abbandonata, vista la forte opposizione della stessa «comunità internazionale». Ma è indubbio che, giunto alla fine del suo doppio mandato, Koizumi incassa un altro successo, spianando la strada per il suo successore designato Shinzo Abe, attuale capo di gabinetto, nipote dell’ex premier – e criminale di guerra – Nobosuke Kishi.
Il bilancio della missione irachena, a conti fatti, non potrebbe essere migliore. Grazie ad una rigorissima disciplina e al mantenimento di un bassisimo profilo, il contingente giapponese non ha riportato alcuna perdita. Nessuna vittima, nessun ferito, nessuna polemica. Sono rimasti isolati per oltre due anni nel loro quartier generale, senza ricevere mai la visita del premier, senza troupe televisive che indagassero sul loro operato. Per evitare problemi, hanno dato fondo alle notevoli risorse finanziarie stanziate per subappaltare ad aziende francesi, olandesi e inglesi la realizzazione di una serie di opere che avrebbero dovuto realizzare in proprio, come la potabilizzazione dell’acqua e la realizzazione di alcune scuole. Insomma, massimo profitto (politico) e minimo rischio (umano). Il prezzo umano l’hanno pagato i civili. I primi volontari sequestrati – accolti in patria come delinquenti (Nahoko Takato, la giovane maestra che due anni fa fu anche ospite della nostra redazione a Roma durante il sequestro delle due Simone nel frattempo è tornata in Iraq), due colleghi giornalisti uccisi, il giovane Koda, decapitato.
Ma Koizumi ha altro a cui pensare. Tutto il suo entourage è concentrato su come gestire l’ultimo grande atto del suo governo. Riaprire le frontiere alle bistecche Usa. Ieri si è cominciato coi polli (e derivati) europei. Ma il mese prossimo Koizumi va a salutare per l’ultima volta l’amico Bush e non ha intenzione di presentarsi a mani vuote. Tanto più che il presidente Usa gli ha promesso di portarlo, col suo elicottero personale, nientedimenoche a visitare il museo di Elvis Presley, a Memphis.