Sarko e Le Pen, rincorsa alla reazione

Jean-Marie Le Pen, entrato con passo elastico sul palco della palazzina dello sport alla Porte de la Villette, esalta la storia di Francia, dei suoi 40 re ed imperatori, si rivolge a «un popolo di contadini, di marinai, di operai, di costruttori, di esploratori, di artigiani e d’artisti, di dotti e di santi, di eroi e di martiri». Ma di fronte a lui, le circa cinquemila persone che sono venute ad ascoltarlo hanno piuttosto l’aria dei perdenti della mondializzazione. Persone di mezza età in maggioranza, signore vestite con tailleur fuori moda, capelli tinti biondi e permanente anni ’60, giovani lisci e dall’aria sprovveduta, il popolo dell’estrema destra fa quasi più compassione che paura. A spaventare ci sono, però, fuori dalla palazzina, alcuni energumeni vestiti di cuoio che si sentono investiti dall’incarico di dare una mano ai poliziotti, con cui scherzano come tra compari, per difendere il gran capo che dopo l’intervento dal palco è venuto a salutare «tutti quelli che non sono potuti entrare» e teme la contestazione di una piccola manifestazione anti-Le Pen.
All’interno, qualcuno indossa una maglietta con la scritta «fiero di essere francese». Alla conclusione dell’intervento del capo, tutti in piedi cantano la strofa più controversa della Marsigliese, scelta apposta, quella che parla di «sangue impuro che abbevera i nostro solchi».
Gli applausi scandiscono i passaggi più popolari del discorso di Le Pen: «le radici cristiane», le manipolazioni delle classi dirigenti che raccontano menzogne sullo stato della Francia, i 5 milioni di disoccupati reali e i 7 milioni di poveri, i 10 milioni di immigrati sbarcati in Francia negli ultimi tre deccenni, «quando l’occupazione nazionale è stata sacrificata agli interessi del padronato, che chiedeva immigrazione di lavoratori africani per pesare al ribasso sui salari dei lavoratori manuali francesi», il «no» all’Europa che ha respinto il federalismo, la fine della nazione, la lotta a tutti i lassismi, dalla scuola alla giustizia.
Le Pen presenta le sue ricette, che si concentrano, nei fatti, in una principale: istituire la «preferenza nazionale» per le assunzioni, la casa e tutti gli altri diritti sociali, chiudendo contemporaneamente le porte all’immigrazione, il tutto condito con qualche spruzzatina di nostalgia per la Francia grande potenza internazionale.
«Le Pen è l’unico che può salvarci», dice un signore, che non vuol dire il suo nome. «C’è solo lui per aiutare i francesi – conferma una sua vicina – ci sono solo più due classi sociali, i ricchi e i poveri. Solo Le Pen ci capisce». Per un altro, «il sistema è esausto, c’è solo lui che può aiutare i francesi. Tutti gli altri ci hanno abbandonato».
Per Le Pen, a pochi giorni dal voto, il nemico da abbattere è Nicolas Sarkozy, definito domenica «capo della feccia politicistica», che gli sta sottraendo elettori. Difatti, ormai Sarkozy si presenta come il paladino di una destra senza complessi e riprende gran parte delle argomentazioni del Fronte nazionale, fatta eccezione per la preferenza nazionale. «E’ sbagliato recuperare i voti del Fronte nazionale?» si chiede da finto ingenuo il candidato dell’Ump. Nel fine settimana, nel sud della Francia – cioè su terre dove il Fronte nazionale è forte – Sarkozy è venuto a parlare di «lavoro e identità nazionale». Ha ripreso l’attitudine di sfida alle classi dirigenti: si è rivolto alla «maggioranza silenziosa» opposta alla «Francia dell’ipocrisia», «la Francia esaperata» che ha voglia di «dire basta», che pensa che si debba «parlare dell’identità della Francia», che considera che «c’è un problema di potere d’acquisto», quella che «ha votato no al referendum sulla Costituzione europea, che ha votato Le Pen nel 2002. Spero che questa maggioranza si esprimerà domenica». Sarkozy è pronto a raccogliere il suo voto, per questo fa appello alle radici cristiane citando i paesaggi con le chiese; all’Algeria francese; all’insofferenza verso la colpevolizzazione della storia francese.
Le Pen gli ribatte: Sarkozy riprende uno ad uno i miei argomenti, allora «votate piuttosto per l’originale che per la copia». Ma la parte più dinamica del suo elettorato forse lo ha già abbandonato.