Mentre i manifestanti della Tavola sarda della Pace cominciavano a sfilare dalla piazza Garibaldi di Cagliari, il sottosegretario alla Difesa Emidio Casula incontrava sindaci, sindacati e marinerie della zona a Teulada. I due appuntamenti casualmente in contemporanea rappresentano le classiche due facce della stessa medaglia. Da una parte la base popolare che richiede la smilitarizzazione della Sardegna, dall’altra il rappresentante del governo che frena, prende tempo e pretende spazi e progetti alternativi in cambio delle aree militari.
Ma a protestare non è solo la piazza.
Ieri a prendere posizione su questo rallentamento di Roma è stato anche il capogruppo di Progetto Sardegna in Consiglio regionale, Chicco Porcu, uno degli uomini di fiducia del presidente della Regione Renato Soru: «Il sottosegretario alla Difesa Emidio Casula chiede tempo per poter ipotizzare lo smantellamento di Teulada, ma la Sardegna non ha più tempo», dice Porcu, «sono oltre 20 anni, dalla firma del protocollo d’intesa con Spadolini dell’allora presidente Mario Melis, che la Sardegna attende un effettivo riequilibrio della presenza di poligoni militari in territorio regionale».
La realtà è che invece «l’isola continua a sopportare sul proprio territorio l’80 per cento delle bombe esplose in Italia in tempo di pace ed il 60 per cento di tutte le servitù militari italiane», continua il consigliere. La conclusione, ancora una volta, è la minaccia della resistenza passiva contro Stato e militari se non sarà programmata la definitiva chiusura di Capo Frasca e Teulada. Dati questi presupposti, il percorso della dismissione dei beni della Difesa appena avviato a Cagliari sembra subire un brusco rallentamento e si intravede un nuovo raffreddamento nei rapporti tra Roma e la Regione sarda: «In queste condizioni il Comitato paritetico e il presidente Soru devono continuare a negare ogni autorizzazione alle esercitazioni militari», fa sapere Porcu.
Se a livello istituzionale tira vento di tempesta, da parte dei movimenti si avanzano precise e pressanti richieste. Al termine della manifestazione di oggi convocata a Cagliari come in altre città d’Italia per esigere la liberazione di tutti i territori con le stellette, una delegazione ha incontrato il rappresentante del Governo in Sardegna. Il funzionario ha ricevuto il consigliere regionale di Rifondazione Paolo Pisu, il leader di Sardigna Natzione Bustianu Cumpostu, la consigliera sardista Claudia Zuncheddu, Rosalba Meloni del Cagliari social forum, Ugo Atzori della Carovana della pace e Mariella Cao di Gettiamo le basi.
I manifestanti hanno invocato il rispetto della legalità da parte del Governo e l’applicazione testuale delle leggi che prevedono una equa ripartizione dei gravami militari tra tutte le regioni italiane. Questo significherebbe in poche parole la restituzione alla Sardegna di Quirra, Teulada e Capo Frasca, più di 20 mila ettari di territorio. «Altrimenti», hanno commentato ironicamente i delegati dei movimenti, «lo Stato ammetta che le basi militari in Italia devono essere distribuite in modo iniquo». Altra richiesta ineludibile è la bonifica di tutte la zone sottoposte a vincolo della Difesa. I progetti di ripristino ambientale nei poligoni però non sono facili da realizzare: «Una operazione di bonifica di parte dell’area per restituirla alla piena fruizione da parte dei pescatori si presenta tecnicamente complessa e richiederebbe la disponibilità di una nave equipaggiata con sistemi di eco-localizzazione», scriveva l’anno scorso l’Istituto di Scienze marine del Cnr a proposito del mare di Teulada.
Una nave americana attrezzata per la verifica dei residuati bellici nei fondali sarebbe in arrivo ma secondo i manifestanti urge interrompere tutte le esercitazioni in ottemperanza di un semplice principio di precauzione. Un gruppo di 200 persone ha contestato il sottosegretario Casula anche a Teulada con striscioni e slogan. Beniamino Camba, componente del Comitato paritetico Stato Regione, ha ricostruito la storia dell’insediamento militare di Teulada ricordando che «le prevaricazioni e le discriminazioni nei confronti della popolazione» si ripetono da 50 anni esatti: «E’ ora di farla finita, i militari devono tornare a casa e i territori del poligono devono essere restituiti alla comunità una volta per tutte».