Sardegna, alle urne anche contro le scorie

Domenica referendum sulla legge regionale che consente l’importazione di rifiuti tossici

In Sardegna domenica e lunedì prossimi si vota per quattro referendum. Ci sono quelli sulla procreazione assistita e poi ce n’è un altro: bisognerà rispondere alla domanda se si vuole o no abolire una norma regionale che permette l’importazione in Sardegna di rifiuti tossici spacciandoli per materie prime. Il referendum, promosso da Verdi, Wwf, Rete Lilliput, Gettiamo le basi, Gallura no scorie e Sardigna Natzione, mette in discussione la legge regionale numero 8 del 19 giugno 2001: due soli articoli che stabiliscono una deroga ad un’altra legge regionale, la numero 6 del 24 aprile 2001, che vieta di «trasportare, stoccare, conferire, trattare e smaltire nel territorio della Sardegna rifiuti di origine extraregionale». E’ il blocco all’ingresso di rifiuti tossici nell’isola. La legge che ora viene sottoposta a referendum attenua il blocco, stabilendo che in Sardegna alcuni rifiuti possono entrare. Più esattamente possono entrare, dice il testo, «rifiuti di origine extraregionale da utilizzare esclusivamente come materie prime nei processi produttivi degli impianti industriali situati in Sardegna e già operanti alla data di approvazione della presente legge». I «processi produttivi», specifica inoltre la norma, «non devono essere finalizzati allo smaltimento e al trattamento di rifiuti». La leggina, insomma, parifica i rifiuti tossici a materie prime secondarie ed è stata voluta dalla maggioranza di centrodestra che ha preceduto l’attuale giunta di centrosinistra per difendere gli interessi del gruppo industriale «Portovesme srl», un’azienda che ha un grande stabilimento nel Sulcis (1.500 occupati) e che, per produrre zinco, utilizza fumi di acciaieria importati in Sardegna da mezza Europa.

La leggina sarda ha fatto da battistrada a disposizioni del tutto simili, ma valide per l’intero territorio nazionale, contenute nella legge delega sull’ambiente firmata dal ministro Altero Matteoli e approvata dal parlamento nel dicembre del 2004. Legge in aperto contrasto con le norme europee. Tanto che la commissione Ue ha richiamato ufficialmente il governo italiano e la corte di cassazione lo scorso 4 marzo ha sollevato il problema davanti alla corte costituzionale, la cui sentenza è attesa entro l’estate. Una vittoria del sì nel referendun sardo rafforzerebbe quindi le associazioni ambientaliste nella battaglia nazionale contro la legge Matteoli. I fumi di acciaieria utilizzati a Portovesme sono polveri metalliche altamente inquinanti e velenose che vengono raccolte filtrando i fumi dei forni elettrici che producono acciaio dai rottami ferrosi.

«L’acciaio e altri metalli, compreso lo zinco», dicono i responsabili sardi del Wwf, «sono ormai prodotti fondendo rottami ferrosi importati dai paesi dell’Est europeo o dagli stati dell’ex Unione Sovietica. Finiscono nei forni rottami d’ogni tipo: tubature industriali, container, serbatoi di raffinerie e industrie obsolete, centrali nucleari dismesse, impianti petrolchimici». «I fumi di acciaieria», spiegano i promotori del referendum, «sono un distillato di sostanze chimiche e di metalli pesanti, alcuni dei quali capaci di indurre lo sviluppo di tumori. Ad esempio il cadmio e i suoi composti, per i quali, nell’area del Sulcis, si registra il record europeo di rilascio nelle acque, è conosciuto come causa di tumori ai polmoni, alla prostata e alla vescica». Il problema è anche quello di un eventuale inquinamento radioattivo del materiale impiegato a Portovesme come materia prima e del controllo sul commercio internazionale di rifiuti tossici e sul loro smaltimento.