«Sarà una giornata particolare. Fuori dalla legalità»

Il Monastero dei Santi Arcangeli, isolato nei pressi di un fiume, attaccato alla montagna di Prizren, molto bello, è stato assaltato e distrutto nel marzo 2004, c’è anche un documentario che lo mostra, («Enclave Kosovo» di Elisabetta Valgiusti dell’organizzazione Salvaimonasteri), sotto gli occhi dei militari tedeschi del contingente Kfor-Nato. Ora la parte dove vivono i monaci è stata ricostruita. Molti altri monasteri e chiese, ben 150, sono stati distrutti in Kosovo in questi nove anni di protettorato Nato e Unmik. Massimo Cacciari ha denunciato la cancellazione «di un patrimonio fondamentale, l’anello mancante per capire l’iconografia del nostro Medio Evo». Del resto qui ci sono abituati: il monastero dei Santi Arcangeli era già stato completamente distrutto nel XVI secolo dai turchi. A padre Ksenofont, che è un giovane monaco, ha 32, e che abbiamo conosciuto nel grande monastero di Decani, sempre impegnato a tessere rapporti con i contingenti, i visitatori, le delegazioni, e che mostra uno stile aperto e ben informato della contemporaneità, abbiamo rivolto alcune domande su come vivrà, domani, questa specie di «giornata particolare». Nella quale la leadership kosovaro albanese separerà – con l’appoggio di mezzo mondo – in modo unilaterale dalla Serbia il «Kosmet», vale a dire il Kosovo e la Terra della chiesa (la Metohja) che ogni serbo considera come fondativa della propria cultura, storia e religione.
Cosa teme da questa proclamazione d’indipendenza? C’è il rischio di un esodo dei serbi rimasti?
Sono molto preoccupato. Il mondo sa, guarda più o meno silenziosamente gli avvenimenti e in qualche modo li approva. Qui siamo stati testimoni della distruzione di più di 150 chiese e monasteri serbo ortodossi, un terzo dei quali medioevali, dell’espulsione di più di 250 000 non-albanesi, una vera pulizia etnica, di un culturicidio e di un un genocidio contro il popolo serbo. Nelo stesso periodo la criminalità organizzata dei clan mafiosi albanesi non solo non è stata fermata in Kosovo, ma ha esportato le sue attività in tutta Europa. Dunque, i risultati della missione internazionale, sia della Nato che dell’Unmik-Onu, sono stati molto lontani e comunque diversi da quello che era previsto nella Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza Onu. Dovrebbe esserci una sorta di maggiore rispetto e un risarcimento. Invece al contrario, nonostante queste mancanze gravi, gli Stati uniti e l’Unione europea fanno finta di nulla trascurando questo disastro per continuare con il loro salto mortale in Kosovo. Aiutando gli albanesi del Kosovo e Metohija fino al punto di riconoscere la proclamazione unilaterale d’indipendenza di questa provincia ancora serba secondo il diritto internazionale. Tutti i timori della nostra comunità si possono esprimere in una sola proposizione: con la creazione di questo stato che ha una esplicita natura mafiosa, con l’amputazione alla Serbia del territorio più importante per i serbi, si sta creando un luogo monoetnico e monoconfessionale dove, nonostante le belle dichiarazioni dei leader politici kosovaro albanesi – però i latini dicevano res, non verba; e purtroppo di res non è stato realizzato nulla – a lungo termine ci sarà posto solo per albanesi. Così, all’inizio del ventunesimo secolo l’Europa civilizzata sta aiutando la nascita di uno stato non solo monoetnico ed etnicamente pulito, ma anche uno stato criminale e mafioso, un cancro economico, politico, ma soprattutto morale, ad limina europeorum.
A Pristina sarà festa. Canti, balli, bandiere a stelle e strisce, duemila giornalisti sull’evento. Come vivrà questa domenica?
Per noi la domenica, come dice il suo nome, è il Giorno del Signore, dedicato al signore, alla sua Resurrezione. Così, come ogni altra domenica, è molto importante, come lo sarà la prossima e quell’altra ancora. Dal punto di vista politico, qualsiasi cosa succeda domenica 17 febbraio, non ha rilevanza legale. Per raccontare quanto sia ancora più tragicomica la situazione, è scontato che anche per gli stessi albanesi il problema non è domenica 17, ma lunedì 18 febbraio, cioè il giorno dopo. Quando si capirà che questo 17 non e una giornata magica e che il giorno dopo la festa la realtà rimane sempre quella, ugualmente tragica, nella miseria e nella disoccupazione nonostante i giganteschi aiuti internazionali arrivati, e sempre sotto il giogo della criminalità organizzata.
Il Patriarcato da Belgrado ha dato indicazioni per cerimonie particolari a Prizren e negli altri monasteri a Decani e Gracanica?
Non aspettiamo questa giornata così particolare. Ogni giorno, in tutti monasteri e in tutte le parocchie, la Chiesa prega, per i fedeli e anche per i non fedeli, per gli amici e molto anche per i nemici, per la pace e la giustizia su questa terra e tra gli uomini, la più perfetta creazione divina. «Sia la tua Volontà», preghiamo ogni giorno nel Padre Nostro e ripetiamo le parole evangeliche: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà». Preghiamo sempre ed ancora che prevalga la ragione e il compromesso, la giustizia e la legge. E sarà così. Forse ora siamo in un periodo nel quale vincono e decidono la forza e violenza, ma verrà il tempo della giustizia e della verità.
La Serbia ha «annullato» l’indipendenza, non la riconoscerà. Il Kosovo e la Metohija, la Terra della Chiesa, continuerà a dichiararsi «Serbia». Che cosa accadrà dopo la proclamazione unilaterale ai monasteri e ai monaci? C’è il rischio che diventino un “tour turistico” in una terra ostile e senza più la comunità dei fedeli, o fuggiti o sempre più terorizzati?
Kosovo e Metohja rimangono terra serba. Le decisioni illegitime non possono cambiare questo fatto. Fino a una decisione legale, risultato di un compromesso e di un accordo sia per la Chiesa serba che per la popolazione serba. Ma i rischi che lei indica ci sono tutti. In Kosovo negli ultimi otto anni sta prendendo piede una specie di «kosovarizzazione» del patrimonio culturale e spirituale serbo ed ortodosso. Stanno riscrivendo la storia, e all’improvviso i nostri monasteri e le nostre chiese, alcune quasi millenarie, stanno diventando le «antiche chiese illiriche, arberesh, albanesi». I vari ministeri del governo provvisorio del Kosovo albanese pubblicano opuscoli, libri e guide dove si offrono questi «tour» senza menzionare il fatto che questo patrimonio appartiene alla chiesa serbo ortodossa o al popolo serbo. Un aperto e violento culturicidio, che nessuno cerca di impedire o di sanzionare. Il ruolo della Chiesa, nonostante tutte le difficoltà, rimane quello di dare conforto, con l’ immortale ed eterno: sursum corda! e fare di tutto per aiutare il nostro popolo a rimanere e sopravvivere. Finché esiste la Serbia noi siamo legati ad essa. Non dobbiamo perdere la fiducia, anzi dobbiamo avere coraggio. Nulla è perduto. Nella speranza che il mondo non farà danni così irreparabili che la via imboccata non risulti a quel punto una strada senza ritorno.