Pechino, Mosca e Parigi si sono ribellate ieri alla richiesta anglo-americana di approvare entro il 4 giugno il nuovo piano Usa sul rinnovo dell’embargo all’Iraq il cui principale obiettivo è quello di sancire una sorta di mandato coloniale sulle entrate petrolifere e quindi sull’economia dell’Iraq.
La proposta Usa infatti mira essenzialmente a bloccare le esportazioni dirette di petrolio verso la Turchia, la Siria e il Golfo grazie alle quali il governo iracheno è riuscito a riavviare parzialmente l’economia importando al di fuori dei controlli della Commissione delle sanzioni Onu parte di quei pezzi di ricambio che questa regolarmente bloccava. In seguito all’embargo ormai in vigore dal 1990 (che ha già fatto oltre un milione e mezzo di morti) i proventi delle esportazioni petrolifere di Baghdad finiscono infatti su un conto pegnato a New York dal quale viene trattenuto un 30% per il pagamento dei danni di guerra, oltre al costo delle operazioni dell’Onu in Iraq e l’affitto dell’oleodotto che porta il petrolio verso il Mediterraneo. Il risultato è che dalla fine del 1996, da quando è iniziata l’Oil for food, Baghdad ha ricevuto cibo, medicinali e merci civili per poco più di dieci miliardi di dollari a fronte di un export di oltre 30 miliardi di dollari. Non solo. Ogni singolo contratto di importazione deve essere approvato (e può quindi essere bloccato) all’unanimità dalla Commissione per le sanzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Il rappresentante americano e quello britannico bloccano così tutti quei pezzi e macchinari necessari all’industria irachena. Ma non si tratta solo di economia. Grazie alle esportazioni dirette di petrolio al di fuori dell’Onu e alle importazioni “illegali” l’Iraq è riuscito a mettere in piedi un nuovo sistema di scambi diretti interarabi con Siria, Egitto, Libano, Emirati arabi. In prospettiva una sorta di mercato comune arabo.
Ora gli Usa vogliono bloccare tutto ciò imponendo la loro volontà al Consiglio di sicurezza. Ma non sarà facile. Il fatto che Usa e Gb si siano consultati tra di loro tenendo segreta la proposta via via elaborata per poi chiedere ieri a Russia, Francia e Cina di dargli un’occhiata e approvarla entro i primi giorni di giugno ha mandato in bestia i governi di Pechino, Mosca e Parigi. Per non parlare dei membri non permanenti del Consiglio di sicurezza ai quali Usa e Gb non hanno ancora consegnato il documento. In breve la proposta di Washington prevede di autorizzare Turchia, Siria e Giordania ad importare 150.000 barili di petrolio al giorno (Amman in realtà già gode di questa eccezione) purché facciano rientrare i relativi pagamenti in ambito Onu. D’altra parte nuovi ispettori dovrebbero sui confini controllare che in Iraq non entri nulla che non sia stato autorizzato dagli Usa. Russia, Cina e Francia hanno fatto sapere ieri che “difficilmente” la proposta potrà essere discussa nelle prossime due settimane.