“Con rispetto per chi ha fatto scelte diverse, quando ti si chiede se vuoi entrare in guerra e non sei d’accordo io penso che si debba dire no”. Cesare Salvi, vicepresidente del senato e leader di Socialismo 2000, spiega così il suo voto in dissenso dal gruppo della Quercia: “Quando si tratta di questioni di coscienza bisogna essere sempre molto cauti – prosegue – La mia non è una posizione di tipo pacifista e tantomeno antiamericana. Un mese fa ho votato con l’Ulivo, perché penso che ci sia anche l’esigenza di usare la forza contro il terrorismo. Ma non è questo che sta accadendo: quello che si profila è uno stato di polizia internazionale dove gli Stati uniti possono colpire chi, dove, come e quando vogliono”.
Il voto italiano sulla guerra ha anche mostrato un parlamento in cui una parte considerevole dell’opinione pubblica del paese quasi non trova rappresentanza politica…
Il problema c’è. E’ il problema della democrazia rappresentativa, che è meglio di quella diretta, sempre sottoposta al plebiscito. Ma per questo ritengo che sia interesse del paese e anche della sinistra che ci siano state voci contro. Come tutti spero che questa guerra finisca presto, ma vorrei che non ci imbarcassimo in questo clima da Union sacrée. Adesso dobbiamo avere tutti il tricolore a casa, poi dovremo esporlo… Bisogna mettere dei paletti, poter dire no.
E lo avete detto in pochi, dividendovi a sinistra e nei Ds. Anche la mozione Berlinguer esce assai disarticolata dal voto…
La verità è che questa mozione è nata come alleanza tra posizioni differenziate e non coincidenti. Lo dico per sdrammatizzare, nel senso che poi abbiamo trovato la convergenza e anche il candidato giusto. Del resto, nelle critiche avanzate nelle sedi di partito sull’Ulivo e sui Ds ci siamo trovati insieme. Poi bisognerà vedere come organizzare la vita di partito dopo il congresso. Il problema principale per tutti noi è costruire un rapporto con la società che consenta di incidere sulla sinistra.
Come? Il voto sulla guerra non sembra un buon viatico al recupero di un rapporto.
Il dato più inquietante, e mi riferisco al modo in cui si è trovata l’intesa in parlamento, non riguarda le nostre fila, ma lo spostamento a destra della maggioranza del partito. Non per ripetermi, ma io penso che abbiamo perso le elezioni a sinistra: con 2 milioni di voti persi e la rottura con Rifondazione comunista. La funzione dei Ds dovrebbe essere quella di recuperare quei voti, aumentarli e riaprire le alleanze a sinistra. Tutti i segnali vanno invece nella direzione opposta, e non parlo solo della guerra.
Di cos’altro?
L’unificazione a sinistra vista solo come intesa con lo Sdi o il silenzio assoluto sul libro bianco di Maroni. Ma quando leggo una ricerca di Manheimer io vedo la prima causa di insoddisfazione nei confronti del governo Berlusconi è il mancato aumento delle pensioni minime, molto più delle rogatorie. Eppoi c’è il dato di fondo: non essersi resi conto che il mondo sta cambiando, che la globalizzazione fondata sul neoliberismo ha fallito e si cercano strade diverse. La riduzione, nell’ultimo quinquennio, del salario reale a favore dei profitti è o no un punto su cui riflettere? E l’impegno contro il fondamentalismo monetarista della Banca centrale europea è una cosa che lasciamo solo a Prodi? L’ex ministro del lavoro di Clinton propone una soglia oltre la quale scatta il divieto di licenziamento, come i titoli sospesi per eccesso di ribasso. Lui dice il 5%, io non so. Ma vogliamo discuterne? E anche questo socialismo europeo: è un luogo dal quale si attendono direttive come dal socialismo reale di quarant’anni fa, oppure è uno spazio in cui si partecipa tutti, ciascuno con le proprie idee?
Bè, non si può dire che alla prova della guerra il socialismo europeo abbia dato una grande prova di autonomia…
Ho l’impressione che in questa fase la geopolitica abbia fatto premio sul socialismo. Blair assomiglia a Churchill quando privilegia l’alleato americano, Jospin e Chirac sembrano De Gaulle sulla necessità di una politica di potenza per la Francia, Schröder sembra Khol quando pone il tema di chiudere definitivamente la seconda guerra mondiale. Ma anche da questo punto di vista, l’interesse dell’Italia è lo stesso, oppure conviene proiettarsi sul Mediterraneo anche a vantaggio dell’Europa e degli Stati uniti?
Fatto sta che le socialdemocrazie di guerra si mostrano sempre più come semplice variabile delle politiche neoliberiste.
Questo è il rischio che oggi è alla prova del nove. Si dice che l’11 settembre ha cambiato tutto. E l’unica risposta sono i bombardamenti? Il socialismo europeo fino a che punto ha ragionato? Anche perché si cono delle conseguenze materiali: Schröder ha ammesso che non rispetterà gli impegni sulla riduzione delle disoccupazione. E l’anno prossimo si vota in Francia e Germania. Qui, nel momento in cui le destre si danno anche un volto sociale, si rischia di ripiombare nella crisi delle socialdemocrazie degli anni del reaganismo e del tatcherismo.
La maggioranza dei Ds che la pensa diversamente argomenta il suo voto a favore della guerra con il fatto che se non si sta dentro non si è riconosciuti come classe dirigente.
Comprendo. Ma secondo me hanno fatto pesare la bilancia dalla parte sbagliata. Perché è illusorio pensare di contare di più per aver votato la guerra: per questo saremo più riconosciuti dal paese come classe dirigente? Io penso di no. Da questo punto di vista abbiamo già dato ampiamente: con il risanamento, con il Kosovo…
…E avete perso.
Abbiamo perso nel rapporto con il paese reale. Questo resta il punto: rischiamo di creare un vuoto enorme nella politica tra le tute bianche e la Margherita.
Si può anche pensare di riempire quel vuoto con un nuovo partito…
Partendo dal nostro dato congressuale si tratta di organizzare al meglio questo punto di vista, dentro, non fuori dal partito.
Non è che si dice questo perché fuori c’è la concorrenza e la presenza di Rifondazione che per voi fa da tappo?
Credo di no. Credo che ci sia la necessità di avviare un dialogo con Rifondazione: ho visto la lettere aperta di Bertinotti sulle questioni sociali e credo che si debba rispondere. Ma le posizioni del Prc, che rispetto anche se non le condivido, sono diverse da quelle di cui stiamo ragionando. Io vedo un enorme spazio tra un moderatismo cautamente riformatore e l’alternativa di sistema. E’ possibile secondo me costruire una posizione politica dentro i Ds e poi operare perché si creino le condizioni di una grande coalizione delle sinistre.