Viaggio nei call center siciliani tra i lavoratori a progetto del gruppo Cos
Il primo stipendio di Lucia? Quarantasei euro netti, o 56 lordi se preferite. La scorsa estate ha lavorato alla Cosmed di Palermo, gruppo Cos, per un intero mese, 6 ore al giorno per 5 giorni a settimana, ma le pagavano solo i contratti che riusciva a procurare alla Wind: a conti fatti, la bellezza di 38 centesimi all’ora. D’accordo, era il primo mese, quello di «rodaggio», ma non è che le cose siano poi migliorate troppo: oggi è una lavoratrice a progetto in scadenza ogni trimestre, riesce a fare tra i 300 e i 400 euro al mese, ma non è detto. E’ pagata a cottimo, solo per i «contatti utili»: 25 centesimi lordi per ogni telefonata che superi i 25 secondi. Altrimenti è come se non avesse lavorato: Lucia non stava lì. Ironia della sorte, deve fare anche gli «straordinari»: 8 ore al giorno anziché le 6 da contratto, senza alcuna maggiorazione, anche loro a cottimo ed esposte alla stessa incertezza. «Spesso non riesco a fare neppure i giorni di riposo – ci spiega seduta al tavolino del bar Recupero di Palermo, dove l’abbiamo incontrata – Dovrei farne due a settimana, ma ci chiedono di continuare a lavorare senza sosta. Non vuoi fare 8 ore? Nei riposi puoi farne 6 o 4, mi dicono, ma ti consigliamo caldamente di venire. Come sai, il tuo contratto è in scadenza, e un eventuale rifiuto potrebbe pesare…». Lucia non riesce a capire che senso abbia continuare a lavorare al call center, ma non vede al momento alternative: la disoccupazione in Sicilia è altissima, sul tavolo dell’ufficio personale della Cosmed si accumulano montagne di curriculum. Tutti ragazzi, ma non solo, pronti a lavorare per una busta paga incerta: «Ieri – ci spiega – ho guadagnato solo 10 euro in otto ore: tre telefonate utili e un contratto. Ho speso di più per la benzina e il pranzo». E da fine gennaio c’è un sistema di compenso ancora più perverso: se non si riesce a tenere una media complessiva di durata delle telefonate di 2 minuti e 36 secondi, vengono retribuite soltanto il 25% delle chiamate utili.
Accanto a Lucia c’è Alfonso, il suo ragazzo, come lei ha 25 anni. Anche lui immerso in pieno nella giungla dei call center, campagne per Wind e Tim, ma sempre attraverso gli appalti della Cos. Ha lavorato per la Alicos, gemella minore della Cosmed, che gestisce tra l’altro il numero verde Alitalia: due settimane fa hanno scioperato per ottenere un compenso fisso. «Spesso lavoro per pochi euro al giorno, mentre per la benzina e il pranzo vanno via 12 euro – ci spiega – L’attuale campagna ce la pagano 42 centesimi lordi a chiamata, è un lavoro in perdita, non riesci a mettere da parte nulla. Io non riesco a permettermi neppure l’affitto, devo restare a vivere con i miei genitori».
I «lavoratori a progetto» – che qui a Palermo molti chiamano sinteticamente «lap» – sarebbero la versione aggiornata dei «cococò»: la legge 30 li inquadra come una sorta di autonomi, a compenso libero, e dunque dovrebbero almeno gestire liberamente i propri orari. In realtà i «team leader», i capetti, li controllano da vicino: vogliono essere avvisati quando mancheranno, li rimproverano per le assenze, impongono gli straordinari. La Cos, il gruppo nazionale di cui è proprietario Alberto Tripi (e che di recente ha acquisito anche la Finsiel), nel capoluogo siciliano occupa circa 1200 «lap» (1800 nei periodi di picco), ripartiti tra Cosmed e Alicos; nelle due società gemelle ci sono anche 1400 operatori con contratti subordinati. Ma se consideriamo pure gli altri call center della città, i lavoratori a progetto diventano oltre duemila: «Una condizione di precarietà di cui si comincia a prendere coscienza – ci spiega Angelo Candiloro, della Slc Cgil, che organizza gli operatori con microfono e auricolari – E finalmente riusciamo a fare mobilitazioni più serie».
Mauro, 34 anni, lavora in Cosmed per la campagna della Sky, riceve le telefonate dei clienti che chiedono informazioni sulla tv satellitare. Anche lui è un «lap», esposto senza protezioni ai capricci delle commesse e del mercato: quando la campagna va bene riesce a guadagnare 650 euro al mese per 4 ore di lavoro in 5 giorni a settimana. Oggi, dato che il mercato langue, riesce a fare sì e no 250-300 euro al mese. «Non ho tfr, malattia, ferie – ci dice – sono a totale disposizione dell’azienda: “valgo” 62 centesimi a chiamata e “scado” ogni 6 mesi. Anche a me chiedono spesso gli straordinari, per 6-8 ore al giorno e senza riposo settimanale. Ho un secondo lavoro in una scuola privata, dove magari guadagno ancora meno, ma almeno lì mi rispettano come persona». Anche Giancarlo, 32 anni, lavora nella campagna Sky: «Duecento euro al mese, ma che ci fai? Spesso non ricevo più di sei chiamate al giorno, neppure 3 euro di guadagno». Giancarlo è dottorando all’università di Torino, ma non frequenta: «Mi porto un libro per riempire i tempi morti – spiega – ma i team leader mi vietano di leggere, devo farlo di nascosto. Secondo me non è giusto, visto che non veniamo retribuiti per il tempo che non riceviamo chiamate».
Del lavoro di apprendista ci parla Giuseppe, 24 anni. Ha un contratto di apprendistato di 18 mesi alla Alicos, in base al quale percepisce una paga ridotta rispetto al contratto nazionale. Si va dai 320 euro dei primi 6 mesi ai 470 dell’ultimo semestre di prova: un part time regolare di 4 ore prende 580 euro mensili. Essendo in attesa della conferma, che sarà decisa in estate, è messo sotto pressione e obbligato a dire continuamente «sì». Come gli altri è costretto agli straordinari forzati, raddoppiando di fatto le sue 80 ore mensili: solo che a lui per 160 ore vanno in busta paga 610 euro, mentre i dipendenti a tempo indeterminato ne prendono 1015. «Quelli che fanno il tuo stesso lavoro guadagnano quasi il doppio – dice – Certo, non me la prendo con loro, è che ormai le aziende ci vogliono mettere gli uni contro gli altri». La compagna di Giuseppe è interinale al 155 Wind, sempre in Alicos, e pure lei «ricattabilissima»: «Il 28 dicembre – spiega – hanno chiamato il suo gruppo e cambiato improvvisamente i turni: dovevano lavorare fino all’una di notte dell’1 gennaio. Noi avevamo già programmato il Capodanno fuori: la mia ragazza ha chiesto cosa sarebbe successo se si rifiutavano. Sapete, hanno risposto, il 4 gennaio si decide il rinnovo, e sicuramente si terrà conto della vostra disponibilità…».
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