Sabato 21 giugno si è tenuta nella sala Gemito, di fronte al Museo nazionale di Napoli, un’assemblea pubblica organizzata dalla Rete 28 aprile che, con la F.I.O.M. e l’area Lavoro e Società, compone la sinistra interna della C.G.I.L.. I temi affrontati sono stati la lotta per il rinnovo contrattuale, l’autonomia del sindacato dalle pressioni del governo e della Confindustria ed il conflitto sociale. In questa occasione abbiamo incontrato Mario Maddaloni, membro del direttivo regionale della Filcem (la categoria che raccoglie i lavoratori dell’energia) ed R.S.U. della Napoletanagas, a cui abbiamo rivolto alcune brevi, ma essenziali domande.
Mario descrivici con sinteticità per quali motivi è giusto opporsi alla riforma del contratto nazionale dei lavoratori, che il governo Berlusconi e la Confindustria desiderano tanto.
La mia posizione è essenzialmente quella della Rete 28 aprile: dare maggior importanza ai contratti territoriali ed aziendali indebolirebbe il concetto stesso di contratto nazionale, spaccando i lavoratori ed incentivando meccanismi di competizione tra i salariati, che si scontrerebbero fra loro per i premi di produttività, a cui solo una piccola parte di loro potrebbe accedere. Inoltre, questa riforma porterebbe ad un’ulteriore burocratizzazione del sindacato, già compromesso nei suoi meccanismi di rappresentanza, a tutto vantaggio di organizzazioni sindacali come la C.I.S.L., la U.I.L. e l’U.G.L., che acconsentono alla violazione dei diritti dei lavoratori. Non a caso, il governo, la Confindustria e gli altri sindacati aspettano le decisioni della C.G.I.L.
Il 13 ed il 14 aprile, come tutti sappiamo, è avvenuto il tracollo elettorale del cartello de “La sinistra e l’arcobaleno”. Per la prima volta, dal secondo dopoguerra, le istanze storiche del movimento dei lavoratori non entrano in Parlamento, a tutto vantaggio di una borghesia populista e reazionaria. Dove ha sbagliato la sinistra?
Credo, innanzitutto, dall’abbandono dei temi che riguardano il lavoro ed il disagio sociale. In passato, partiti come Rifondazione comunista hanno raggiunto l’apice del consenso quando hanno dato voce a questi problemi, opponendosi alle riforme contro i lavoratori e creando così una connessione diretta con loro. Gli errori compiuti affondano le proprie origini nella svolta governista che il P.R.C., il principale partito della sinistra, ha assunto al Congresso di Venezia del 2005: lì Bertinotti ha reciso le radici con la tradizione del movimento operaio e, in un’ultima analisi, ha prefigurato al partito un ruolo di totale subalternità a Prodi, che ci ha portato a contraddire i nostri principi e le ragioni di chi è sfruttato. Adesso non ci siano scorciatoie e leadership che tengano: la sinistra deve ripartire dal lavoro.
Il cartello de “La sinistra e l’arcobaleno” ha fallito, ma il processo di una costituente di sinistra è interrotto definitivamente?
I risultati delle elezioni hanno dimostrato che non è possibile costruire un soggetto unico della sinistra, con una fusione a freddo dei partiti che la compongono. Per me è giusto ripartire dall’unità dei comunisti, per creare massa critica e costruire un’efficace opposizione politica e sociale. Solo allora sarà possibile costruire un fronte comune con le altre forze di sinistra, perché attualmente ognuno va per la propria strada ed i lavoratori non hanno interlocutori.
Ma non credi che l’unità dei comunisti sia solo una formula organizzativa, dettata dalle difficoltà e dalla debolezza che abbiamo in questa fase?
No, perché è l’unico modo per contrastare con forza il fascismo latente nella società. Poi, non è solo una risposta organizzativa, perché teoria ed organizzazione vanno di pari passo, se si condividono gli intenti. E l’intenzione comune oggi dev’essere ricostruire un soggetto di classe nel paese. C’è la necessità di superare le vecchie divergenze tra i comunisti. Con una sinistra “generica” non si va lontano, si civetta solo con il Partito Democratico, che ha dichiarato sin dalla sua costituzione le proprie intenzioni: emarginare la sinistra e rappresentare gli interessi dei moderati, sposando il dialogo con Berlusconi.
Parliamo di Chiaiano e della cosiddetta “emergenza rifiuti”. In Campania la C.G.I.L. vanta mezzo milione d’iscritti e quella di Napoli è la più grande Camera del lavoro del Mezzogiorno. Non credi che il sindacato dovrebbe unirsi alla protesta popolare di tutte le aree della regione individuate come siti di raccolta rifiuti, respingendo l’isolamento delle comunità territoriali ed un certo qualunquismo che si fa largo tra la popolazione?
Sarebbe stato utile ragionare con i comitati di cittadini e la “Rete rifiuti zero”, che ha costruito una piattaforma in cui sono raccolte diverse proposte, dalla raccolta differenziata porta a porta, che aiuterebbe anche a limitare la disoccupazione giovanile, alla lotta al potere impreditorial-criminale. Ma nella C.G.I.L. campana prevale una sostanziale subalternità al quadro politico locale.
Basti pensare all’opposizione che si potrebbe organizzare contro la scelta del governo Berlusconi di costruire un inceneritore per ogni provincia, che è una tecnologia obsoleta, altamente inquinante e sulla quale la camorra guadagnerebbe miliardi di euro, tra appalti, trasporti ed infrastrutture. Mettere in discussione l’emergenza rifiuti vorrebbe dire criticare quattordici anni di commissariamento, di scelte industriali sbagliate, di connivenza con la camorra.
Se la C.G.I.L. ponesse fine alla propria subalternità nei confronti dei governi locali di centrosinistra, potrebbe recuperare un forte consenso contro la logica bipolare e divenire un punto di riferimento per le comunità sulle quali si abbattono le scelte politiche. E ce ne sarebbe un grande bisogno, visto che Napoli e l’Italia stanno scivolando sempre più a destra.
Dalle tue considerazioni emerge un tema decisivo: l’autonomia del sindacato. Durante l’assemblea di questa mattina, l’economista Brancaccio poneva una domanda: quali sono i margini per la sopravvivenza di un sindacato conflittuale? Egli accennava anche ad una risposta: il sindacato tende ad implodere su se stesso di fronte al movimento internazionale di capitali. Cosa ne pensi?
Se si vuole ragionare sull’ organizzazione del lavoro dobbiamo riconoscere un punto essenziale: si è ceduto sovranità ai tavoli di concertazione ed indebolito la rappresentanza sindacale. Questo è potuto accadere in virtù delle logiche di aumento della produttività e di flessibilità del lavoro. Ma la contraddizione tra capitale e lavoro cresce sempre più. Come spiegare il fatto che l’Italia, all’inizio degli anni ’90, era il paese con i salari meglio retribuiti in Europa, mentre oggi occupa l’ultimo posizione?
La C.G.I.L., geneticamente, non è un’organizzazione rivoluzionaria: è un soggetto socialdemocratico e redistributivo. Sono sempre stato contrario al conflitto fine a se stesso, ma il silenzio e la passività stanno uccidendo il sindacato. I lavoratori sono abbandonati a loro stessi e ci recepiscono come una struttura a cui chiedere favoritismi e non come un soggetto di lotta, capace di esprimere il loro disagio. Allo stato attuale, l’unica strada da percorrere è il conflitto con il padronato.
Da cosa ripartire, allora?
Come dicevo prima, la C.G.I.L. può recuperare il consenso perduto nei luoghi di lavoro, ma deve ripartire dal salario e dalle questioni più generali legate alla tenuta democratica del Paese. Il governo Berlusconi sta lanciando un duro attacco alle libertà civili, alle conquiste dei lavoratori e finanche alla magistratura. Questo basta per capire i pericoli d’involuzione reazionaria che sta correndo l’Italia, perché Berlusconi rappresenta quella parte di borghesia che vuole aumentare lo sfruttamento.
Una cosa che mi ha indignato è stata la sostanziale intesa tra il Partito Democratico ed il Popolo delle Libertà sulla riforma del salario. Mi domando dove siano le differenze tra Veltroni e Berlusconi e giro questa domanda proprio ai dirigenti del P.D., che dovranno rispondere ai propri elettori di queste scelte. Ma non mi sorprende la pacatezza nei toni e la durezza nei provvedimenti: la nascita del P.D. traduce in campo politico la concertazione sindacale.
Ecco, perché serve una riposta forte e conflittuale, che fornisca nuova rappresentanza agli interessi di classe dei lavoratori. L’idea della concertazione a tutti i costi, come hanno dimostrato le recenti elezioni, porta solo acqua al mulino della reazione. Ed i segnali più inquietanti di questa nuova fascistizzazione dello Stato si trovano nel voler frammentare i contratti nazionali, nell’attacco alla magistratura, nella presenza dell’esercito sui territori, pronto ad intervenire armato contro il popolo.
Come mai non si riesce a spezzare questa offensiva di destra?
In breve, non c’è un’idea di alternativa. Mussolini, dopo la “marcia su Roma”, fu capace di imporre il consenso attraverso la repressione ed il lento consolidamento del proprio potere, ma i comunisti lavorarono sempre per un’alternativa, le cui condizioni si crearono con lo scoppio della Seconda guerra mondiale. Fu allora che il P.C.I. e le organizzazioni antifasciste riuscirono a costruire con la lotta una nuova prospettiva.
Qui, invece, ci troviamo di fronte ad un rischio enorme: il sindacato di regime. Brunetta e la sua “caccia ai fannulloni” è solo la punta dell’iceberg di un feroce spirito anti-proletario. L’offensiva, in realtà, è cominciata nel 1993 con i primi accordi concertativi.
In conclusione, quali sono le prospettive per il prossimo congresso della C.G.I.L.?
Un documento alternativo, che veda l’unificazione di tutta la sinistra sindacale, per altro già in atto. Siamo accomunati da un’unica causa: l’agibilità politica dentro la C.G.I.L., perché il gruppo dirigente di Epifani, legato mani e piedi al Partito Democratico, sta già attaccando ed emarginando la sinistra interna, proprio com’è accaduto nel governo Prodi. L’alleanza tra la Rete 28 aprile, Lavoro e Società e la F.I.O.M., però, non sarà soltanto un cartello congressuale: ci stiamo già muovendo per creare dei coordinamenti territoriali, che svolgano un lavoro capillare di organizzazione e conflittualità in ogni categoria.
La vostra idea è quella di costituire un sindacato alternativo?
Assolutamente no! Sarebbe un errore madornale, che non potremmo permetterci. Adesso, però, occupiamoci di svolgere i nostri congressi, nei partiti e nel sindacato, e di costruire subito l’opposizione politica e sociale a Berlusconi. La strada migliore da percorrere la valuteremo camminando…