ROMA – La proposta della Confindustria sulla riforma della contrattazione è sostanzialmente pronta. Ieri lo ha fatto capire il leader degli imprenditori, Luca Cordero di Montezemolo. Contiene proposte dure da digerire per i sindacati. Le indiscrezioni che trapelano confermano infatti che la Confindustria vuole alleggerire il costo del contratto nazionale. Che non dovrebbe più adeguare le retribuzioni all’inflazione programmata, come prevedono le regole del luglio ’93, ma fissare un minimum wage, un salario minimo di garanzia, lasciando alla contrattazione aziendale il compito maggiore, con l’obiettivo di legare gli stipendi alla produttività. Non solo. Tra le proposte che l’associazione sta mettendo a punto c’è anche la «clausola d’uscita» dagli stessi contratti nazionali, qualora questi dovessero restare al centro del sistema. Questa clausola prevede la possibilità che imprese e sindacati concordino a livello decentrato di derogare ai minimi di retribuzione previsti dal contratto di categoria. Si tratterebbe per l’Italia di una novità mutuata dalla Germania. Che era già suggerita nel Libro bianco sul mercato del lavoro (che parla anche di deroghe individuali), coordinato da Marco Biagi e presentato alla fine del 2001 dal ministro del Welfare, Roberto Maroni. E che è richiamata anche nell’ultima relazione annuale della Banca d’Italia, dove si sottolinea che i sindacati tedeschi hanno finito per accettare queste deroghe pur di evitare che molte imprese spostassero la produzione nei Paesi dell’Est.
Per ora Montezemolo non ha scoperto le carte perché, ha spiegato, ha preso atto di quanto emerso la scorsa settimana al congresso della Cisl, cioè della volontà di Cgil, Cisl e Uil di cercare un’intesa su una loro proposta di riforma della contrattazione. Il presidente della Confindustria, sottolineando di essere d’accordo col segretario della Cisl, Savino Pezzotta, ha avvertito però che se i sindacati non prenderanno l’iniziativa, lo farà lui «in tempi brevi».
Il leader della Cgil, Guglielmo Epifani, il più restio a una riforma profonda delle regole del ’93, si trova così incalzato da una parte da Montezemolo e dall’altra da Pezzotta. Il capo della Cisl ha fissato la data limite del 15 settembre, oltre la quale la Cisl, in mancanza di un accordo con gli altri sindacati, presenterà la sua proposta. E ieri il leader della Uil, Luigi Angeletti, anche lui favorevole ad aprire subito la trattativa con la Confindustria, ha detto che bisogna fare «anche prima del 15 settembre».
Il fatto è che il minimo comun denominatore che può raccogliere le tre confederazioni prefigura una proposta molto distante da quella degli imprenditori. Tutti e tre i sindacati sono infatti per un sistema con due livelli di contrattazione: nazionale e decentrato. E la Cgil è per rafforzare il primo. Esattamente il contrario di quello che vuole la Confindustria. Spiega Carla Cantone, che nel sindacato di Epifani ha la delega su questa materia: «Noi non pensiamo che si esca dalla crisi attuale con la moderazione salariale, né spostando il peso della contrattazione sul livello decentrato perché così facendo sarebbero tutelati solo i lavoratori più forti», quelli delle grandi imprese dove la contrattazione aziendale già si fa. In un momento di difficoltà per i lavoratori come questo, «la tutela del contratto nazionale è indispensabile». Infine, avverte Cantone, «non condividiamo neppure l’idea delle deroghe, sul modello tedesco, perché queste sarebbero sempre al ribasso». E perfino un cigiellino moderato come Agostino Megale, presidente dell’Ires, il centro studi della confederazione, insiste sul rafforzamento del contratto nazionale: «Che dovrà far riferimento all’inflazione attesa, come già di fatto è avvenuto negli ultimi contratti, e non più all’inflazione programmata, che si è rivelata irrealistica».