Tommaso Padoa Schioppa a rimettere mano al patto del luglio ’93. Ieri, i una lunga intervista al Sole24 Ore, il vicepresidente di Confindustria Alberto Bombassei ha ribadito nel dettaglio la posizione delle imprese.
Bombassei nega che il problema della competitività sia legato alla mancanza di investimenti da parte delle imprese (appunto polemico mosso alla Confindustria dallo stesso Padoa Schioppa), e spiega che «l’unica via per rilanciare la competitività è la produttività». Riparte la solita solfa: 1) contro il contratto nazionale e una eccessiva preponderanza della parte fissa (che indurrebbe sostanzialmente i lavoratori a sedersi sugli «allori» del garantito) rispetto a quella variabile, legata a risultati, produttività e – perché no – anche a una riedizione delle gabbie salariali; non dirigistica, precisa Bombassei, ma favorendo la contrattazione territoriale come quella aziendale; 2) «la scarsa produttività deriva dalla poca flessibilità del lavoro», «da orari effettivi più bassi al mondo; da un tasso di occupazione più basso che negli altri paesi; da una scarsa propensione a investire in innovazione». E gli industriali? «Se oggi c’è un po’ di ripresa è perché le imprese hanno investito», è l’autodifesa.
Per l’esponente di Confindustria, «oggi ha più senso concentrare l’attenzione salariale sul livello aziendale: bisogna arrivare all’obiettivo di legare quote importanti di retribuzione alla dinamica della produttività». Ecco dunque l’indicazione: per legare «quote importanti», è implicito che bisognerà sganciarle dal livello nazionale, fisso garantito a tutti.
Se dunque da un lato Bombassei fa riferimento alla produttività e ai risultati, parlando evidentemente del secondo livello aziendale, dall’altro lato rimette in ballo l’ipotesi di «gabbie salariali», anche se tiene a precisare che non si tratta del modello vecchia maniera, con «formule rigide o dirigiste»: «La caratteristica attuale del modello salariale italiano – spiega – è che circa l’80% della retribuzione è uguale da Nord a Sud. Bisogna puntare di più – conclude – sul salario di produttività e ancorare i livelli salariali ai risultati».
La Confindustria propone dunque un sistema di incentivi al salario variabile, sul modello di una proposta cara alla Cisl: Bombassei ripropone l’idea della contribuzione del salario variabile, che divrerrebbe così anche «più appetibile per i lavoratori, grazie a uno sgravio degli oneri sociali». Idem per gli straordinari, oggi fatti per buona parte in nero: le imprese chiedono di «decontribuire e tassare in maniera ridotta queste ore, strumento principe della flessibilità».
E il sindacato? Bombassei spiega che «in Italia applica schemi di 40 anni fa ed è per questo che da noi la flessibilità è vicina allo zero». Ecco dunque il modello tedesco: «In Germania, 5 milioni di disoccupati e una continua fuoriuscita dal mercato del lavoro hanno indotto il sindacato a creare forme di flessibilità. Ha reagito con intelligenza e piuttosto che perdere la presenza dei grandi gruppi ha sottoscritto anche patti che non prevedono aumenti salariali». E sì, questo per un imprenditore è davvero un sogno.