Saigon, Tegucigalpa, Baghdad: Negroponte, l’anima nera

L’uomo giusto al posto giusto nel momento giusto. Il 18 gennaio nell’udienza di conferma al senato, Condoleezza Rice disse che la nuova amministrazione Bush, di cui si apprestava a diventare il segretario di stato, si sarebbe caratterizzata per l’uso della diplomazia e non solo dei muscoli. «Il tempo della diplomazia è questo», disse. Ed ecco la nomina John D. Negroponte, l’ambasciatore di carriera e di lungo corso, a national intelligence director.

Negroponte è quello che gli americani chiamano un «troubleshooter», qualcuno che si chiama per le missioni più difficili, ma prima di tutto è un criminale.

Nell’agosto del 2001, dopo che Bush figlio lo aveva designato al posto di ambasciatore all’Onu, disse di lui José Miguel Vivanco, direttore dell’ufficio Americhe di Human Rights Watch,: «Se si guarda alla situazione dei diritti umani in Honduras, il peggior periodo nella storia honduregna è stato l’inizio degli anni `80, esattamente quando Negroponte vi serviva come ambasciatore Usa sostenendo che ogni cosa andava bene e che i militari hondueregni non avevano niente a che fare con gli abusi». Durante le audizioni di conferma in senato, Negroponte testimoniò non solo di non sapere niente ma di non credere che le peggiori atrocità e le squadre della morte fossero mai esistite. Di lì a dieci giorni fu l’11 settembre e Negroponte ottenne la conferma come ambasciatore all’Onu.

Al Palazzo di vetro è rimasto dal 2001 alla metà del 2004, quando prese possesso dell’ambasciata Usa a Baghdad.

John Dimitri Negroponte, figlio di un miliardario armatore greco, è nato a Londra nel `31. Mezzo greco, mezzo inglese e poi tutto americano. Negli Usa si è laureato a Yale – come i Bush -, a Londra ha sposato lady Diana, figlia di sir Charles Villiers, l’ex-chairman della British Steel. E’ entrato nel servizio diplomatico americano nel `60, dopo la laurea, e il suo primo incarico fu a Saigon nel `65.

Fu in quegli anni vietnamiti che conobbe il dottor Henry Kissinger, un altro criminale (con tanto di Nobel per la pace) a piede libero. Con lui responsabile per la sicurezza nazionale avrebbe poi lavorato alla Casa bianca e poi, dopo il `73, come membro della delegazione Usa ai negoziati con il Nord Vietnam. Ma Parigi la coppia si ruppe perché Negroponte, collocandosi ancor più a destra di Kissinger, considerò un tradimento l’accordo finale fra Washington e Hanoi.

Finita (male) l’era Nixon-Kissinger, Negroponte – ultraconservatore, superfalco pragmatico e interventista – era già pronto per l’era Reagan. Dall’81 all’85 fu ambasciatore in Honduras durante quella che Noam Chomsky definisce «la prima guerra contro il terrorismo che Reagan dichiarò in Centramerica e Medio Oriente». In quei suoi 5 anni da «proconsole» nella sperduta Tegucigalpa, montò la seconda più grande ambasciata Usa in America latina e fece della repubblica bananera dell’Honduras «la nostra portaerei terrestre» in Centramerica. Fu lui (e la Cia di William Casey) ad armare e addestrare i contras – che lo chiamavano «el jefe» – lanciati contro il Nicaragua dove nel `79 avevano vinto i sandinisti, fu lui (e la Cia) ad armare e addestrare le unità d’élite delle esercito honduregno – come il famigerato Battalion 316 – per commettere ogni sorta di atrocità, fu lui (con la Cia e gli «specialisti» argentini) ad armare e addestrare le squadre della morte che imperversarono in tutta l’America centrale, a cominciare dal Salvador. E fu lui che mandando ogni anno al Congresso Usa il rapporto sui diritti umani giurava che in Honduras e dintorni andava tutto per il meglio e quelle che circolavano erano frottole messe in piedi dai comunisti. Nei rapporti e nelle dichiarazioni dell’ambasciatore Negroponte l’Honduras sembrava assomigliare più alla Norvegia che all’Argentina della guerra sporca.

Di quella guerra sporca – in Centramerica in quegli anni la carneficina contò almeno 140 mila morti – che poi avrebbe portato nella sua breve permanenza all’ambasciata di Baghdad – «l’opzione Salvador» -, Negroponte è un maestro inarrivabile. Sopravissuto allo scandalo dell’Iran-contras-gate, nell’87, con Bush padre, divenne il secondo di Colin Powell al Consiglio per la sicurezza nazionale e dall’89 al `93 fu ambasciatore in Messico, per assistere il presidente Salinas nella clamorosa (e ben pagata) svolta filo-Usa e neo-liberista. Nel `93 Clinton lo nominò ambascitore nelle Filippine dove rimase fino al `96. Dal `97 una pausa nell’attività privata, vicepresidente per le operazioni internazionali del colosso editoriale McGraw Hill. Poi il ritorno alla sua vera vocazione criminale, con Bush figlio. Nel 2001 ambasciatore all’Onu e nel giugno del 2004 di nuovo in prima linea a Baghdad. Ancora e sempre, come nei good old days dell’Honduras, a esportare la democrazia.

Negroponte è colto: parla 5 lingue (inglese, spagnolo, francese, greco e vietnamita) e ha un cuore: ha 5 figli, adottati in Honduras (forse dopo avergli ammazzato i genitori).