Saddam morto fa più paura

L’impiccagione di Saddam Hussein è stata accolta con soddisfazione, anche se con motivazioni diverse, in Israele e in Iran, ma ha lasciato tiepido il mondo arabo. Il futuro però potrebbe riservare sviluppi di grande rilievo. A cominciare da un ulteriore peggioramento delle relazioni tra musulmani sunniti e sciiti, in Iraq e in quei paesi dove sono presenti significative minoranza sciite. Senza dimenticare la diffidenza che diversi Stati, a cominciare da quelli del Golfo, provano nei confronti dell’Iran che per molti sarebbe dietro il «protagonismo» sciita di questi ultimi tempi. «Il processo, la condanna a morte e soprattutto l’esecuzione di Saddam Hussein hanno un background settario – ha detto al Manifesto l’analista arabo Mouin Rabbani, dell’ufficio di Amman dell’International Crisis Group -. È evidente che a dare il via libera sono stati gli Stati Uniti, ma i commenti di molti arabi, soprattutto quelli musulmani sunniti, tendono a mettere in risalto il ruolo che il governo iracheno sciita ha svolto in questa vicenda, a cominciare dalla rapidità con cui è stato messo a morte Saddam Hussein. Non è facile fare previsioni, ma temo che questa impiccagione approfondirà il solco tra sunniti e sciiti». Rabbani ha ricordato che «per secoli gli sciiti sono stati, tranne qualche breve periodo, in una condizione di sottomissione nei confronti dei sunniti. Ora la caduta del regime di Saddam Hussein ha dato il via ad un revival sciita, non solo in Iraq o in Libano, che preoccupa i sunniti. E l’esecuzione di Saddam Hussein viene letta da non pochi sunniti come una vendetta, un desiderio di rivincita degli sciiti». Secondo l’analista, la scelta dell’inizio dell’Eid Al-Adha (la festa islamica del sacrificio), per compiere la sentenza di morte, ha creato forte sdegno tra la gente e l’atteggiamento sprezzante del premier iracheno Al-Maliki non è destinato a passare inosservato». Un’interpretazione, quella di Rabbani, che convince il deputato egiziano e direttore del quotidiano Al-Osbua, Mustafa Bakri, per il quale in Iraq adesso vi saranno scontri ancora più intensi fra musulmani sunniti e sciiti e un possibile allargamento delle violenze nell’intera regione.
La descrizione di futuri scenari di tensione e violenza tuttavia si scontra al momento con la blanda reazione, tranne poche eccezioni, che l’impiccagione dell’ex rais iracheno ha sino a questo momento provocato nel mondo arabo. «È la conclusione tragica di un triste capitolo della storia dell’Iraq». Così Houssam Yusuf, consigliere del segretario generale della Lega Araba, Amr Moussa, ha commentato l’esecuzione. «Speriamo che non risulti in un’escalation di violenza e che il popolo iracheno volti pagina per guardare al futuro», ha aggiunto. Un po’ poco per l’organismo che rappresenta l’intero mondo arabo, senza dimenticare che Amr Moussa è rimasto, certo non a caso, in disparte. D’altronde il Segretario generale della Lega Araba all’epoca della prima prima guerra del Golfo (1991), era ministro degli esteri egiziano ed assieme al presidente Mubarak contribuì non poco alla formazione di quella coalizione araba che avrebbe partecipato con suoi soldati all’operazione Desert Storm lanciata dagli americani per «liberare» il Kuwait occupato qualche mese prima dall’Iraq. E anche se Moussa e Mubarak hanno criticato l’invasione anglo-americana del 2003, la loro avversione nei confronti di Saddam Hussein non è mai mutata. Stesso discorso vale per Damasco, che nel 1990, avallando Deserto Storm, si guadagnò la benedizione americana alla pax siriana in Libano. Ieri la televisione di stato ha dato un rilievo minimo alla notizia dell’esecuzione dell’ex presidente iracheno. Alcuni analisti siriani, come George Jabbour, invece sono tornati sul processo a Saddam per ribadire che si è svolto «al di sotto dei requisiti necessari e in circostanze eccezionali». Il suo collega Imad Shueibi ha commentato che il governo iracheno voleva chiudere l’anno con «un regalo a George Bush, per salvargli la faccia di fronte alle ripetute sconfitte in Iraq». Poco convincenti sono i tre giorni di lutto per Saddam proclamati dal governo libico e del presidente Gheddhafi che ha mantenuto, specie negli ultimi anni, un atteggiamento ambiguo verso l’occupazione dell’Iraq.
La notizia dell’esecuzione di Saddam Hussein invece è stata accolta con sincero cordoglio nei Territori palestinesi occupati, dove l’ex raìs iracheno godeva di molta stima per il sostegno economico e politico che per anni ha garantito alla popolazione impegnata nell’Intifada contro Israele, senza dimenticare i generosi finanziamenti che aveva destinato all’Olp di Yasser Arafat. In Cisgiordania sono state esposte in diverse case e negozi, in segno di lutto, fotografie di Saddam. A Gaza un portavoce di Hamas, Fawzi Barhum, ha detto che l’ex presidente dell’Iraq era un «prigioniero di guerra» e «la sua esecuzione è un assassinio politico». Non si è espresso invece il presidente Abu Mazen. Ben diversa la reazione d’Israele, nemico giurato dell’Iraq di Saddam Hussein. «Giustizia è fatta», ha detto un portavoce governativo. Un giudizio secco che, incredibilmente, è simile a quello espresso dal presidente iraniano Ahmadinejad.