Una ragione fondamentale ha indotto Rifondazione comunista ad aderire con convinzione alla manifestazione sulla giustizia del 14 settembre, una ragione che nasce dall’esperienza che il nostro partito ha accumulato in questi anni nel rapporto con i movimenti. Quando una parte della società esprime bisogni o istanze, è compito dei partiti che condividono tali rivendicazioni assumerle e sostenerle, anche scendendo in piazza a testimoniare il proprio consenso. Se questo vale in generale, è tanto più vero in una fase di arretramento come quella che attualmente vive la sinistra italiana in tutte le sue articolazioni. E che annovera tra le sue cause proprio la difficoltà della politica di entrare in comunicazione con il paese reale.
La piazza e il Palazzo sono parti della stessa città, hanno l’una bisogno dell’altro e viceversa. Perciò sembra assurdo innalzare steccati tra partiti e movimenti e dibattere, un po’ artificiosamente, su pretese di autosufficienza che nessuno avanza. Non si capisce poi con quale plausibilità all’indomani delle sconfitte elettorali si pronuncino dure condanne dell’astensionismo se, dinanzi al risvegliarsi della passione politica e civile di massa, si sale subito in cattedra per rivendicare il primato della politica organizzata. Si direbbe che sia dura a morire la nostalgia per un passato nel quale ci si poteva rivolgere al proprio elettorato con il piglio del domatore da circo. Se è così, è bene che a certe illusioni si rinunci una volta per sempre.
Veniamo ora alle ragioni di merito per le quali Rifondazione considera importante il successo della manifestazione del 14. Ce n’è una sopra tutte. Questa iniziativa sorge dalla consapevolezza, ogni giorno più diffusa, del fatto che il governo Berlusconi e la maggioranza che lo sostiene si avvalgono dei propri poteri per tutelare gli interessi personali (in molti casi illegali) del premier e di alcuni suoi stretti collaboratori. Se i girotondi possono pensare di portare in piazza centomila persone, è perché alla base di questa mobilitazione c’è un comune sentimento di giustizia ferita, la percezione della sistematica violazione di un fondamentale principio di eguaglianza. Come non vedere che, se questo è già un grande risultato politico, l’intero schieramento delle opposizioni trarrebbe grandi vantaggi dall’ulteriore diffusione di tale consapevolezza? Berlusconi, parlando a Rimini al meeting di Comunione e Liberazione, ha manifestato grande preoccupazione per il profilarsi di un autunno di lotta che comincerà, guarda caso, proprio il 14 settembre. E diversi esponenti della maggioranza gli hanno fatto eco con i loro proclami apocalittici e minacciosi. Temono, evidentemente, che il successo della manifestazione di sabato metterebbe sotto gli occhi di milioni di italiani la realtà indecente di una politica della giustizia ad uso e consumo privato. Sarebbe davvero curioso se a perdere di vista tale risultato fosse proprio la parte politica che più dovrebbe augurarselo.
Ma tutto ciò non basta. Ci sono secondo noi altre due ragioni di fondo per partecipare, e per evitare che ci se ne dimentichi – non già per smania di differenziazione – abbiamo accompagnato la nostra adesione con la presentazione di una piattaforma autonoma. In primo luogo, dev’essere chiaro che la questione giustizia non si esaurisce nella devastazione dei codici e nella controriforma dell’ordinamento giudiziario perseguite dal governo. Ci preme ricordare che rimangono in tutta la loro urgenza molti altri problemi, dalla sostanziale violazione del diritto alla difesa per tanti cittadini non abbienti alla abnorme lunghezza dei processi, alla drammatica emergenza del carcere, la realtà del quale è nella gran parte dei casi del tutto incompatibile con il principio della finalità rieducativa della pena.
La seconda ragione spinge a collocare l’emergenza giustizia sullo sfondo del conflitto sociale e politico che ci vede impegnati contro il governo di centrodestra. In una battuta: se non si capisce che manomettere lo Stato di diritto serve a Berlusconi anche per avere mano libera nello smantellamento dello Stato sociale e nell’attacco alle garanzie del lavoro; se non si coglie l’organicità di un progetto (identico – giova rammentarlo – a quello elaborato dalla P2) che mira a sottrarre l’esecutivo al controllo del parlamento e della magistratura, non solo si perde di vista uno dei principali moventi dell’attivismo del governo in materia di giustizia, ma si corre anche il rischio di perdere la battaglia contro le leggi su misura escogitate dai vari Cirami e Pittelli. In questo senso teniamo a ricordare che il 14 non è la conclusione, ma solo un momento di un più vasto impegno delle opposizioni. Quello che inizia è un autunno di lotta contro questo governo. Seguiranno via via le manifestazioni nazionali indette da Rifondazione (il 28 settembre) e dall’Ulivo, il nuovo sciopero generale, le mobilitazioni contro la guerra e quelle legate ai referendum sociali sull’articolo 18, il welfare e la scuola pubblica. Con questo stato d’animo scendiamo in piazza il 14 settembre: non preoccupati che la protesta prenda il posto della politica, ma, al contrario, fiduciosi nella saldatura di un circolo virtuoso tra l’opposizione politica e quella sociale.
* Responsabile del Dipartimento Giustizia e legalità del Prc