Russo Spena: «Lasciamo Kabul per finanziare la nuova missione»

«I soldi per la missione in Libano devono essere presi dal bilancio del ministero della Difesa. E’ questa la leva sulla quale intendiamo far forza per chiedere il ritiro del nostro contingente dall’Afghanistan. Questo nuovo impegno non può ricadere sui capitoli del Welfare». Giovanni Russo Spena, capogruppo di Rifondazione comunista al senato, interviene così sul dibattito relativo alla partecipazione italiana alla forza multinazionale di pace, da schierare a sud di Beirut. E sulle regole di ingaggio dice no a «qualsiasi compromesso con le destre: Il nostro compito non è disarmare gli Hezbollah».
Il finanziamento della missione in Libano rimane un tema poco chiaro, complice anche l’indeterminatezza della risoluzione. Se dovessero aumentare le nostre spese militari cosa farebbe Rifondazione al senato?
E’un argomento che intendiamo porre con calma, ma anche con estrema chiarezza: i costi della missione si prevedono molto alti, specialmente nel caso in cui l’Italia assuma il comando dell’operazione. Noi siamo contrari a qualsiasi aumento delle spese militari per far fronte a questo impegno. Non può rappresentare una soluzione nemmeno la distribuzione al ministero di Arturo Parisi delle maggiori entrate derivanti dall’evasione fiscale. Questo punto deve diventare la leva sulla quale fare forza per chiedere che vengano ritirate le forze italiane schierate in Afghanistan.
Quando intendete sollevare queste questioni?
E’ necessario uno studio tecnico, che per il momento risulta difficile, visto che non sappiamo ancora quanti uomini manderemo in Libano. In ogni caso credo che lo porremo politicamente, attraverso un emendamento o un ordine del giorno, quando il decreto del governo arriverà in parlamento per essere riconvertito. Ma si tratta di questioni che si intrecceranno anche con il dibattito sulla finanziaria e poi con il nuovo passaggio alle camere relativo al rifinanziamento delle missioni all’estero.
Le eventuali defezioni degli altri paesi europei potrebbero rappresentare altri punti di criticità per Rifondazione?
L’assenza, o la parziale assenza di stati come la Francia, la Spagna, la Germania rischiano di negare alla missione quel connotato di «europeismo», che io giudico importantissimo. Questa operazione è una buona occasione per rilanciare una politica euromediterranea, che si tradurrebbe anche in una ripresa di soggettività politica per l’Europa. E sarebbe un ottimo modo per intervenire nello scacchiere geopolitico creato da Gran Bretagna e Stati uniti. Da questo punto di vista il ministro degli Esteri Massimo D’Alema si sta muovendo nel migliore dei modi, muovendo critiche al governo israeliano che, con l’uso sproporzionato della forza militare, mette a repentaglio la sua stessa sicurezza. Ha, inoltre, dimostrato una grande capacità respingendo l’equazione «Hezbollah = terrorismo».
Nel caso in cui quelle defezioni da eventuali dovessero diventare concrete?
Se dovesse realizzarsi questa ipotesi il governo dovrebbe riferirne in parlamento. Magari replicando il passaggio alle commissioni esteri e difesa di camera e senato.
Torniamo alle regole di ingaggio. Lei dice «disarmare gli Hezbollah non deve in alcun modo rappresentare il compito di questa missione». Però sul punto c’è ancora molta ambiguità. Bush, intanto, ha chiesto all’Onu una nuova risoluzione…
Credo che la volontà degli Stati uniti rimarrà isolata. Mi pare impossibile che tra i paesi del Consiglio di sicurezza possano trovare degli alleati, disposti ad essere asserviti alla logica secondo cui tutto è terrorismo, comprese le resistenze nazionali. Ma, nel caso improbabile che il disarmo degli Hezbollah diventasse uno dei compiti della missione, il governo dovrebbe ridiscutere la propria partecipazione con il parlamento. E noi non siamo in alcun modo favorevoli.