La Stampa del 7 luglio 2005
Dichiarazione congiunta a sorpresa del gruppo di Shangai
Presenti come osservatori India, Iran e Pakistan
Prima di atterrare a Edimburgo per partecipare ai lavori del G8, il presidente Vladimir Putin si è fermato ad Astana, capitale del Kazakhstan. E insieme agli altri Paesi della Conferenza di Shan¬gai – Russia, Cina e quattro Stati dell’Asia Centrale ex sovietica – ha firmato una dichiarazione in cui si chiede agli Stati Uniti di ritirare le proprie basi militari in Kirghizistan e Uzbekistan. «Non diciamo che debba avveni¬re domani, fra una settimana o fra un mese – ha dichiarato un rappresentante della delegazio¬ne russa – ma ci sembra corretto che venga indicato un termine preciso».
La dichiarazione, che sarà tra i temi dell’incontro tra Geor¬ge Bush e Vladimir Putin al G8 di Gleneagles, è stata accolta con sorpresa dall’ambasciatore ame¬ricano a Mosca. «La nostra presenza in quei Paesi – ha commen¬tato in una nota – è stata definita nell’ambito di accordi bilaterali in cui le parti concordavano sull’efficacia dell’operazione». Oggi evidentemente qualcosa è cambiato: «Continueremo a so¬stenere le operazioni antiterrori¬smo – si legge nella dichiarazio¬ne di Astana – ma ci sembra essenziale che i membri della coalizione comunichino un ter¬mine dell’uso temporaneo delle infrastrutture interessate».
Dall’inizio della campagna in Afghanistan nel 2001, sono di¬ventate quattro le basi militari in Asia centrale utilizzate dagli americani e dagli alleati tede¬schi e francesi. Gli accordi non prevedevano un termine per la smobilitazione, e la coabitazio¬ne dei militari russi e americani nella zone veniva anzi portata ad esempio di ottima cooperazio¬ne tra Mosca e Washington, incrinatasi nel frattempo sotto molti altri aspetti. Gli Stati Uniti pensavano probabilmente che la cosa sarebbe stata oggetto di una trattativa con i Paesi ospiti. Difficilmente avrebbero potuto immaginare che la richiesta di sfratto sarebbe addirittura di¬ventata argomento di una dichia¬razione congiunta ufficiale.
Ispiratore della proposta sem¬bra essere il presidente uzbeko Islam Karimov, irritato dalle critiche degli Stati Uniti sulla repressione della rivolta di An¬dijan. Karimov aveva insinuato che gli americani avessero spon¬sorizzato le dimostrazioni di pro¬testa e aveva definito gli atti di terrorismo islamico nel suo Pae¬se come «una nuova forma di rivoluzione esportata in Uzbeki¬stan da editorialisti e commenta¬tori stranieri». Analoghe rimo¬stranze erano venute dall’ex lea¬der kirghizo Askar Akajev, che aveva incolpato gli Usa di essere «dietro le quinte» dei disordini che hanno sconvolto Bishkek nel gennaio scorso. Qualcuno prono¬stica una rivoluzione colorata anche in Kazakhstan e Mosca probabilmente ha deciso di ri¬prendere un controllo più saldo sui pezzi del suo ex impero. Anche perché nel 2006 a presie¬dere il G8 sarà la Russia e Vladimir Putin ha già annuncia¬to che il suo tema di cuore – come per Blair l’Africa – sarà proprio l’Asia Centrale.
«I popoli dell’Asia Centrale sono gli unici padroni del loro destino – ha dichiarato Hu Jin¬tao servendosi di un interprete russo, quasi a ribadire la solidità dell’alleanza con Putin. Sono saggi e liberi abbastanza da poter mettere ordine da soli a casa loro». Alla Conferenza di Shangai, che ha visto la parteci¬pazione di India, Iran e Pakistan in qualità di osservatori, la ri¬chiesta della delegazione ameri¬cana di poter assistere ai lavori non è stata presa in esame. «Forse l’anno prossimo», si legge in una nota degli organizzatori.