Dopo il cambiamento di presidente e di governo tra gennaio e febbraio il nuovo tandem a Kiev formato da Victor Yanukovich e Mykola Azarov ha impresso una decisa accelerazione al riavvicinamento dell’Ucraina alla Russia, invertendo il percorso intrapreso dai rivoluzionari arancioni del 2004 Victor Yushchenko e Yulia Tymoshenko.
Forte della maggioranza parlamentare e appoggiata dall’opinione pubblica la nuova coppia che guida l’Ucraina sta seguendo un percorso che riporta Kiev e Mosca a stringere relazioni che vanno al di là della semplice cooperazione economica, ma che segnano una svolta geopolitica in favore del Cremlino.
Sono stati gli accordi di Kharkiv del 21 aprile, ratificati dalla Duma e dalla Rada il 27, a siglare in maniera decisiva il mutamento di direzione: il prolungamento del contratto sulla permanenza della flotta russa a Sebastopoli sino al 2042 è senz’altro il simbolo del ritorno in grande stile di Kiev sul binario russo, dando un colpo forse definitivo (gli accordi non sono irreversibili) a un possibile ingresso del Paese nella Nato per i prossimi decenni.
Nell’accordo del 1997 tra Russia e Ucraina era prevista permanenza sino al 2017 e di altri 5 anni nel caso uno dei partner non avesse comunicato almeno un anno prima che non avrebbe voluto rispettare la scadenza. Ora la data è quella del 2042, più altri 5 anni, sino al 2047. Tolta quindi dall’agenda l’entrata dell’Ucraina nella Nato e riportato il timone verso Mosca, il nuovo tandem a Kiev ha sorriso volentieri al ventaglio di proposte del Cremlino, con uno sguardo fondamentale alle casse dello stato e all’economia vicina al collasso.
Questo pragmatismo ha suscitato però le focose proteste dell’opposizione parlamentare, che ha accusato Yanukovich e Azarov di tradire gli interessi nazionali e di svendersi ai russi. L’ex eroina della rivoluzione arancione Tymoshenko ha affermato che il presidente vuole instaurare una dittatura e chiamato gli ucraini alla protesta di piazza.
Ma come in Parlamento l’ex premier sembra avere qualche difficoltà a tenere la leadership dell’opposizione (in realtà non ha un seggio e non riesce a bloccare i transfughi verso la maggioranza) anche nel Paese il carisma non sembra funzionare molto, se è vero che solo poco più del 20% degli ucraini è contrario alla permanenza russa a Sebastopoli, mentre oltre il 60% è favorevole, tra questi ovviamente la stragrande maggioranza di coloro che vivono nelle regioni dell’est, del sud e dei diretti interessati in Crimea, dove la base di Sebastopoli rappresenta anche un importante fattore economico e di stabilità. Agli ucraini importa poco della Nato, meglio qualche grivna in più nel portafoglio.
Oltre alla questione della flotta il riavvicinamento russo-ucraino passa attraverso il gas, non solo per i 40 miliardi di dollari spalmati su un decennio che vanno ad alleggerire la bolletta per Kiev secondo gli accordi di Kharkiv. L’idea di Putin di creare un’unica azienda fondendo il colosso nazionale Gazprom con quello ucraino Naftogaz è forse più di una boutade e, in attesa degli sviluppi, é al centro delle speculazioni degli osservatori. Se per alcuni è cosa ormai acquisita ed è solo una questione di tempo, per altri si è trattato di un messaggio incrociato dal Cremlino a qualche oligarca ucraino che avesse in mente di farsi qualche boccone dell’azienda statale da tempo in difficoltà.
C’è inoltre un’altra serie di settori nei quali la cooperazione tra Russia e Ucraina sta prendendo il volo, dal nucleare civile – con l’appoggio russo per la costruzione di due blocchi nella centrale di Khmelnytskyi per circa 5 miliardi di dollari e l’idea di una joint venture tra Rosatom ed Energoatom – all’industria aerospaziale, da quella navale a quella dei trasporti, con la firma dell’accordo di collaborazione nel settore che prevede tra l’altro il mega-piano di una nuova linea ferroviaria Mosca-Vienna attraverso l’Ucraina. Progetti economici, certo, che non celano comunque il senso geopolitico: il Cremlino ha trovato ora a Kiev un alleato che condivide una partnership privilegiata su un modello di sinergie e di integrazione.
Stefano Grazioli, giornalista e scrittore, esperto di spazio postsovietico, www.esreport.net