Russia 10 anni dopo: oblio o cattiva coscienza?

Nella ritualità delle celebrazioni del decennale del golpe rosso c’è stata poca attenzione attorno a una notizia curiosa che – starei per dire – riguarda lo “stato delle menti” in Russia. Anzi riguarda anche lo “stato dello Stato”, lo “stato dell’informazione” e perfino lo “stato del sistema educativo” di quel paese. Sicuramente una “distrazione”, ma significativa. A indicare anche lo “stato dell’informazione” dalle parti nostre.
Di che si tratta? Del fatto che circa la metà dei russi – esattamente il 49% degl’interrogati in un sondaggio eseguito da un autorevole istituto – non è riuscita a ricordare il nome di nessuno dei membri del Comitato d’Emergenza che prese il potere in quei tre giorni fatali. Proprio nessuno. Chi furono? Perché fecero il “golpe”? Per metà dei russi l’evento che portò alla fine dell’Unione sovietica, che fu la scintilla in cui andò in fumo il paese in cui vivevano e si ritrovarono in un altro paese, non ha padri. Cioè non ha responsabili. Dal sondaggio addirittura emerge che qualcuno (il 15%) pensa che tra i golpisti ci fosse anche il povero Aleksandr Rutskoi che, al contrario, volò a Foros per liberare Gorbaciov; qualcun altro include anche la vittima, Mikhail Gorbaciov (11%); qualcun altro infine ci mette anche Nikolai Rizhkov, incolpevole ex premier sovietico.
Allora sorge la prima domanda: come funziona un sistema educativo che non è capace nemmeno di far ricordare alla gente gli eventi più importanti della storia che li riguarda da vicino? E che stato è quello che non è nemmeno capace di celebrare se stesso, quasi si vergognasse del suo stato di nascita, del modo in cui è venuto al mondo? E che mass media ha un paese che non ricorda se stesso, nel bene e nel male?
Insomma, William Shakespeare avrebbe tratto la conclusione, da un fatto apparentemente così marginale, che “c’è del marcio in Danimarca”. Ma sospetto che non si tratti di “distrazione”, o di “cattiva memoria” (dei russi, dei loro mass media, delle loro istituzioni). E questo sospetto si accresce leggendo le risposte dei russi ad altre domande dell’indagine sociologica. Per esempio, a dieci anni di distanza, il 28% della popolazione dichiara di essere stato contrario ai putchisti. Più o meno il doppio di coloro che oggi dichiarano di essere stati favorevoli ai putchisti (14%). Ma il 31%, cioè la maggioranza relativa dei rispondenti, dichiara che allora non ci capì un bel niente e, di conseguenza, stette a guardare.
Interessante. Perché in Occidente molti pensano (e molti giornali hanno scritto), al contrario, che ci fu una sollevazione popolare contro i golpisti, guidata da quel campione di democrazia che fu Boris Eltsin, salito “coraggiosamente” su un carro armato (che poi si seppe essere stato preventivamente disarmato) per arringare una folla di teleoperatori occidentali. Sapevamo già allora (ma i lettori occidentali poco ne seppero) che non ci fu alcuna sollevazione popolare. Adesso sappiamo che sarebbe stata appoggiata da non più del 28% (che comunque se ne stette in casa.
Più o meno la stessa cosa – forse – che avvenne quando (il 25 dicembre di quello stesso anno) la bandiera sovietica scese dal pennone del Cremlino e venne sostituita da una bandiera tricolore che nessuno, per tre generazioni, aveva più avuto l’occasione di vedere sventolare. Ero sulla Piazza Rossa, quella sera, ad assistere all’evento. Con me c’erano solo due colleghi giornalisti stranieri. I russi guardarono l’evento alla televisione, o forse guardavano un altro canale: non si erano accorti che cambiava lo stato in cui avrebbero vissuto il resto della loro vita, e i loro figli e nipoti, tutta la loro vita.
Non è che sperassero in una palingenesi. Non risultava allora e non risulta oggi. Semplicemente non si accorsero di quello che stava avvenendo. E, se se ne accorsero, non ne capirono la portata. Colpa loro? In parte sì, ma in parte piccola, perché non glielo dissero e, anzi, quel poco che dissero loro, era ingannevole e bugiardo. Bugiardi i golpisti, bugiardo Eltsin.
Più o meno altrettanto ingannevole e bugiardo, manipolatore delle coscienze e distorcente la realtà, fu ciò che i media occidentali raccontarono ai loro lettori-spettatori. E cioè che i russi, i sovietici, applaudivano al crollo del proprio paese con grande entusiasmo. Non fu così. Bastava guardarsi attorno, allora, per capirlo. Adesso, a dieci anni di distanza, dopo tante ulteriori tragedie, se ne ha la conferma. Dalla serie di risposte a un’altra domanda del sondaggio da cui abbiamo preso le mosse. La domanda era, più o meno questa: “Pensate che, se i putchisti avessero vinto e fossero rimasti al potere, la vostra vita sarebbe oggi migliore o peggiore?”. Attenzione alle risposte! Il 27% ritiene che non sarebbe cambiato niente e che si vivrebbe, in Russia, più o meno come si vive oggi. Il 20% pensa che si vivrebbe meglio, oggi, se i putschisti dell’agosto 1991 avessero vinto. Solo uno striminzito 17% pensa che la vita odierna in Russia sarebbe stata peggiore di quella attuale in caso di una vittoria di Ghennadi Janaev, Vladimir Kriuchkov, Valentin Pavlov & company.
Infine un enorme 36% dichiara di non saper rispondere alla domanda. Non sanno. Gl’incerti sono la maggioranza relativa, gli scontenti dello stato di cose presente sono molti di più dei contenti, un’altra grande fetta non vede miglioramenti.
Allora non resta che concludere che tutte queste “dimenticanze”, queste “distrazioni” dei russi, che emergono dal sondaggio, non siano tanto effetto di “cattiva memoria” o di un Alzheimer precoce di massa, ma siano piuttosto da catalogare sotto la voce “cattiva coscienza”. La nostra – di spettatori di un immenso dramma, della più grande truffa mai giocata ai danni di un popolo da un manipolo di furfanti – non è migliore.