In molti avevano previsto l’apertura di un secondo fronte di sconfitta per il partito repubblicano e il presidente George Bush dopo la batosta subita in occasione dell’elezioni di midterm. Ma forse nessuno avrebbe potuto aspettarsi la velocità con cui questa onda d’urto, tsunami di risposta alla perdita di consenso elettorale che ha coinvolto i teocon d’America, si sarebbe realizzata. Mentre era probabilmente prevedibile chi per primo ne avrebbe fatto le spese, cioè quel Donald Rumsfeld già sacrificato da Bush come capro espiatorio sull’altare della debacle politica. Privato infatti della tutela e dell’immunità che gli derivavano dal ruolo rivestito nell’establishment governativo, l’ex segretario alla Difesa degli Usa è stato oggi denunciato alla magistratura tedesca da parte di un cartello di associazione per aver infranto il rispetto dei diritti umani, arrestatisi davanti alla soglia delle carceri di Guantanamo e Abu Ghraib.
Un documento di 220 pagine consegnato alla Procura Federale di Karlsruhe, nel land occidentale tedesco del Baden-Wuerttemberg, inchioda l’ex falco dell’amministrazione Bush alla responsabilità di aver permesso brutali violenze e torture ai danni dei detenuti nelle strutture penitenziarie di Guantanamo, base navale nell’omonima eclave americana a Cuba, e di Abu Ghraib, alla periferia ovest della capitale irachena Baghdad. A farsi carico dell’azione legale – che rappresenta gli interessi di undici cittadini iracheni rinchiusi nella struttura di Baghdad e di Mohammed al-Qahtani, saudita prigioniero nel centro dell’isola latinoamericana -, come ha spiegato il suo portavoce Hannes Honecker, è stata l’associazione Avvocati Repubblicani. Questo ente legale con sede in Germania, il quale si occupa di tutela giuridico-umanitaria e ha agito in convergenza con il Center for Constitutional Rights e l´International Federation for Human Rights, ha presentato il materiale di accusa verso Rumsfeld sostenendo che, in quanto allora capo in carica del Pentangono, il bellicoso ex uomo di stato non poteva non essere a conoscenza del comportamento che caratterizzava i militari americani nelle carceri internazionali. Questo fronte comune schierato in difesa dei diritti umani, si è infatti appellato ad un principio della legislazione locale che contempla la cosiddetta “giurisdizione universale”, cioè la perseguibilità di crimi particolarmente gravi ovunque siano stati commessi. Così Rumsfeld rischia ora di essere sottoposto a processo, ed insieme a lui anche il ministro della Giustizia statunitense, Alberto Gonzales, il quale all’epoca dei fatti contestati era consigliere della Casa Bianca, e George Tenet, allora direttore delle Cia nonché successore di quel Robert Gates che sette giorni fa ha preso il posto proprio di Rumsfeld a capo della Difesa.
Ora spetterà al procuratore Monika Harms, presso il cui ufficio è stato presentato l’incartamento, decidere sull’accoglibilità o meno della richiesta di sottoporre a processo penale l’ex inquilino della Difesa e gli altri funzionari, tutti protagonisti indiscussi di quella guerra al terrorismo internazionale ingaggiata ormai da diversi anni dalla Casa bianca repubblicana, e reponsabile del tramonto di quello stato di diritto che non dovrebbe mai venir sacrificato perchè cuore pulsante della democrazia.
Già nel 2004 il Centro per i diritti costituzionali (Ccr) aveva cercato di procedere in sede giudiziaria contro Rumsfeld, ma l’aspra reazione suscitata a Washington insieme all’immunità che gli spettava in quanto membro di un governo sovrano straniero, impedirono di condurre a processo l’ex capo del Pentagono. Due motivazioni che si andarono ad aggiungere a quella della procura tedesca, la quale dichiarò di aver scelto di non procedere legalmente contro l’ex falco americano perchè gli Usa non avevano rinunciato definitivamente a perseguire essi stessi le persone chiamate in causa.
Anche in quell’occasione la denuncia era stata presentata alla Procura federale tedesca, in nome di quel principio della giurisdizione universale che ha permesso per esempio di perseguire l’ex dittatore cileno Augusto Pinochet in Spagna.