Rumsfeld alla sbarra in Germania

Per Michael Ratner, presidente del Centro per i diritti costituzionali di New York, «quel che è accaduto non è accettabile». Insieme alla Federazione internazionale per i diritti umani di Parigi e alla Lega tedesca degli avvocati repubblicani, Ratner ha così chiesto alla procura federale tedesca di aprire un procedimento penale contro Donald Rumsfeld, ex ministro della difesa statunitense.
L’azione legale è condotta a nome di 12 vittime delle «camere di tortura» di Washington: 11 iracheni detenuti ad Abu Ghraib e un cittadino saudita, Mohammed al-Qahtani, confinato a Guantanamo perché sospettato di aver avuto contatti con la cellula dell’11 settembre. Le 220 pagine che circostanziano le accuse sono state recapitare ieri al procuratore generale di Karlsruhe, Monika Harms.
Rumsfeld, insieme all’ex capo della Cia Gorge Tenet, a cinque legali dell’amministrazione Bush – tra cui Alberto Gonzales, attuale ministro della giustizia – e 9 alti ufficiali dell’esercito statunitense, è accusato di essere responsabile delle sevizie subite dagli assistiti. Ratner ha spiegato che il procedimento non poteva essere istruito né dalla Corte penale internazionale, che gli Usa non hanno mai riconosciuto, né presso le Nazioni unite, dove Washington può esercitare il diritto di veto. In Germania la legge permette invece di giudicare i crimini di guerra indipendentemente dal luogo dove sono stati commessi e dalla nazionalità di vittime e carnefici.
Il saudita Al-Qahtani era stato catturato tra il Pakistan e l’Afghanistan nel 2001 e spedito a Guantanamo, con l’esplicita approvazione di Rumsfeld, per vedere se le mani esperte degli inquirenti della prigione sull’isola di Cuba avrebbero sortito le confessioni desiderate. In seguito alle verifiche degli investigatori statunitensi sui maltrattamenti subiti dal saudita nel 2005, vennero confermati pesanti abusi. Al-Qahtani era stato privato della possibilità di dormire e pregare, costretto a indossare un reggiseno e a ballare con un altro uomo, a star nudo di fronte a soldatesse Usa e a comportarsi come un cane.
Il primo tentativo di intentare un procedimento simile era fallito nel 2004. Allora gli ottimistici procuratori della corte tedesca avevano bocciato il procedimento asserendo che sarebbe spettato alle corti statunitensi giudicare i misfatti, e che non c’era motivo di dubitare che le autorità locali non l’avrebbero fatto.
Oggi i querelanti possono contare su nuove prove emerse nel 2005 durante le audizioni del Congresso sul caso al-Qahtani. Inoltre la caduta nel Walhalla del guerriero Rumsfeld potrebbe favorire l’istruzione della causa. Dalla parte della difesa, oggi, c’è anche la preziosa testimonianza del generale di brigata Janis Karpinski – ex capo delle 17 prigioni statunitensi in Iraq, in carica quando nel 2004 esplose il caso Abu Ghraib. Pur non avendo avuto conoscenza diretta dei maltrattamenti – così dice -, l’ex generale di brigata ha confessato di aver subìto pressioni dalle alte sfere affinché venisse usata la mano pesante sui prigionieri. Janis Karpinski è stata sollevata dal comando e degradata a colonnello l’anno scorso: «Quando hanno creduto che fossi troppo vicina a quelle informazioni, mi hanno tolto di mezzo», ha detto.
Nessun commento dal Pentagono e dai procuratori tedeschi, che ancora non avevano letto i fascicoli dell’accusa. «Se il procuratore bocciasse il procedimento – ha assicurato l’avvocato tedesco Wolfgang Kaleck – sarà presentato appello e verificheremo la possibilità di istruire la causa in altri paesi europei».