Stavolta non si potrà sperare di trovare un bus «crumiro». Lo sciopero di oggi è «fuori controllo» per ammissione degli stessi sindacati confederali. Segno che lo stato d’animo della categoria è ben oltre il limite di guardia. Bisogna poi aggiungere il fatto che le aziende «appoggiano» la protesta (la «cavalcano», si diceva una volta) e i Comuni anche, il quadro è completo.
Uno schieramento paradossale, se si trattasse di imprese «classiche». Ma stiamo parlando di aziende di trasporto pubblico locale, municipalizzate di fatto o di diritto; e comunque obbligate a svolgere una «servizio pubblico» che difficilmente (cioè: mai) può essere effettuato con «criteri di mercato» ( ameno di non far pagare il biglietto dell’autobus quasi come un taxi). E quindi è perfettamente «logico» che il committente (i Comuni), le imprese (raccolte nelle associazioni Asstra e Anav) e i sindacati siano concordi e compatti nel pretendere dal governo (il finanziatore) di provvedere a quanto serve perché il servizio possa essere effettuato. Una dimostrazione dell’insensatezza dell’ideologia «privatizzatrice» in un campo che più «pubblico» non si può.
Teoricamente oggi i mezzi pubblici (bus, metro, pullman) circoleranno tranquillamente fino alle 8,30 e dalle 17 alle 20. Ma per il segretario della Filt-Cgil, Maurizio Solari, «l’esito è incerto, cioè non si sa se finisce a fine turno o si prosegue. C’è l’incognita di quanto dura». Peggio ancora: «se la vertenza non si sblocca», ci sarà un nuovo sciopero di 24 ore il 15 dicembre, ma «senza le fasce di garanzia».
Una durezza motivata dalla strana indifferenza del governo, si diceva. Per affrontare le questioni aperte (rinnovo del contratto nazionale, ammodernamento del parco circolante, copertura dei maggiori costi di carburante e componenti, ecc) nella finanziaria sono previsti la «bellezza» di 60 milioni di euro. I sindacati sapevano che avrebbero dovuto essere 190 e, come spiega Guglielmo Epifani, segretario generale della Cgil, «da luglio ci avevano promesso che i soldi c’erano e poi, alla fine, ci accorgiamo che non ci sono».
Il problema è che – come tutti sanno e le aziende dicono – di soldi ne occorrerebbero molti di più: almeno un miliardo. «Senza interventi concreti bisognerà tagliare i servizi, unica alternativa alla chiusura per fallimento di qualche azienda», spiega Marcello Panettoni, presidente dell’Asstra.
Al di là delle «toppa» contingente che potrà essere messa tra qui e Natale (data in cui la finanziaria dovrà essere approvata e le risorse «vere» per il trasporto pubblico locale saranno quelle definitive), c’è un problema di strategia che va affrontato e risolto una volta per tutte. A più di dieci anni dall’avvio della «privatizzazione», infatti, siamo a un passo dal disastro: «le imprese hanno continuato ad operare solo grazie a un’intensa opera di efficientamento, non ché alla politica dell’emergenza rappresentata dai provvedimenti statali di copertura degli ultimi rinnovi contrattuali».
«Efficientamento» che si è tradotto in scelte draconiane contro i lavoratori (stipendi da fame, un numero di precari crescente, subappalti a società «cooperative») e gli utenti (riduzione delle corse, autobus sporchi e privi di adeguata manutenzione, ecc). Al governo, a questo punto, tutti i soggetti – consumatori compresi, finalmente illuminati dalla comprensione che la «controparte» non è rappresentata da lavoratori e sindacati – chiedono di aprire un confronto vero sulle politiche del trasporto pubblico locale.
E non solo. A scorrere il calendario delle agitazioni del mese che oggi si apre, si scopre che tutto il mondo dei trasporti è in subbuglio. Domani alle 21 parte lo sciopero di 24 ore dei ferrovieri per la mancata riassunzione dei «quattro licenziati per la trasmissione Report, nonostante il nuovo amministratore delegato, Mauro Moretti, si fosse dichiarato pronto ad accogliere l’invito fatto da governo e parlamento. Il 7 si fermerà il personale marittimo del gruppo Tirrenia; il 15 gli assistenti di volo e il personale di terra dell’Alitalia (24 ore). Non si prosegue solo perché, con le vacanze di Natale, scatta anche il «periodo di franchigia» che vieta gli scioperi. Ci sarà un problema di «politiche di settore» o no?