Rivelò le carceri Cia: licenziata

La Cia ha licenziato una sua agente dopo averla individuata come la «fonte» di una delle informazioni più tremende uscite fuori ultimamente: quella della creazione in vari paesi del mondo, compresi alcuni dell’Europa dell’Est appartenenti all’Ue, di prigioni in cui portare i sospetti considerati particolarmente «interessanti» per poterli torturare in pace, evitando reazioni simili a quelle scatenate dalla vicenda di Guantanamo.
La notizia è ufficiale nel senso che viene direttamente dal capo della Cia, Porter Goss, che l’ha comunicata venerdì sera e poi ha dato ai suoi portavoce il via libera per fornire vari dettagli della vicenda tranne uno: il nome della signora licenziata. Ma a questo hanno provveduto altre «fonti» (sulle quali, è da supporre, ora si indagherà), sicché s’è saputo subito chi è la licenziata. Si chiama Mary McCarthy, ha lavorato nell’agenzia come analista per molti anni fino a diventare responsabile di una sezione del Consiglio per la sicurezza nazionale chiamata «progetti speciali», carica che ha ricoperto durante la presidenza di Bill Clinton e che ha conservato per un certo tempo dopo il subentro di George Bush. Il suo licenziamento è stato deciso perché – come hanno spiegato i portavoce della Cia – la signora ha violato la «carta» che tutti gli agenti della Cia sono obbligati a firmare al momento stesso della loro assunzione, in cui si impegnano a non avere contatti «non autorizzati» con la stampa.
La storia delle prigioni segrete fu pubblicata dal Washington Post nel novembre scorso e scatenò il putiferio che tuti ricordano. I governi dei paesi in questione dissero di non saperne nulla, anunciarono «indagini severissime» e chiesero «spiegazioni» a Washington. A un certo punto la questione si era fatta così «calda» che la stessa Condoleezza Rice, il segretario di Stato, fece appositamente un viaggio in Europa per negare (senza convincere) l’esistenza di quelle prigioni, ma soprattutto per far presente agli «amici europei» che non era il caso che facessero tanto gli schifiltosi perché la lotta al terrorismo non è un pranzo di gala. Per il governo era stato un momento difficile che oltre tutto era stato «doppiato» di lì a poco dalla rivelazione, questa volta sul New York Times, dell’esistenza di un programma illegale di ascolto delle telefonate dei cittadini Usa.
Di fronte a questo uno-due Porter Goss decise di andare giù deciso. Del resto il senso della sua nomina a capo della Cia era stato proprio quello di «mettere ordine» nei suoi ranghi, ché tanto le scelte di direzione «strategica» erano demandate a John Negroponte, nominato capo di tutta la intelligence community. Lui si è messo al lavoro e visto che questa volta non si trattava di una «soffiata» a favore del suo capo (come la rivelazione dell’appartenenza alla Cia di Valerie Wilson Plame, per la quale è sotto processo il braccio destro di Dick Cheney ed è indagato Karl Rove, il «gran consigliori» di Bush) è stato efficientissimo. Si è fatto fare un elenco di tutti quelli che «potevano» aver dato quelle informazioni al Washington Post, ha scelto quelli più «sospettabili» e li ha sottoposti alla «macchina della verità», proprio come accade nei racconti di spionaggio. Poiché la prova di Mary McCarthy è risultata «positiva», lei è stata sottoposta a un ulteriore interogatorio e – sempre secondo i portavoce della Cia – ha confessato. Un caso risolto «brillantemente» (il che spiega perché Porter Goss abbia voluto glioriarsene personalmente), tanto che non è stato neanche necessario coinvolgere il giornalista del Post Dana Priest, l’autore della storia che gli ha procurato anche il Premio Pulitzer. Un portavoce del giornale, Eric Grant, ha infatti precisato che «nessun giornalista del Post è stata convocato o ha parlato con gli investigatori di questa faccenda».
Ora al licenziamento potrebbe seguire l’incriminazione di Mary McCarthy, visto che oltre all’indagine di Goss c’è in corso anche quella penale che il dipartimento della Giustizia ha avviato sia per le «soffiate» sulle prigioni segrete che per quelle sulle intercettazioni telefoniche (anch’essa premiata col Pulitzer), il colpevole della quale però non è stato ancora «pescato». Ma il problema che si pone, naturalmente, è che cosa sia più grave: rivelare un segreto o creare prigioni illegali in cui si tortura?, rivelare un segreto o ascoltare le telefonate dei cittadini violando la legge?