«Ritiro presto». Bush: no, finiamo il lavoro

Alla fine si sono incontrati, hanno tenuto insieme una conferenza stampa e poi George Bush e Nuri Kamal el-Maliki si sono abbandonati al loro sport preferito: fare finta di nulla. L’improvvisa cancellazione da parte da parte di Maliki dell’incontro previsto ad Amman per mercoledì sera e accuratamente preparato? Niente di strano. Siccome il primo ministro iracheno aveva già avuto un «proficuo colloquio a due» con il re giordano Abdullah, un nuovo incontro a tre con Bush non era necessario. Ma ad Amman, dove Tony Snow, il portavoce di Bush aspettava il suo capo in arrivo dalla Lettonia e intanto discuteva con i giornalisti, anche loro in attesa, della possibilità di tenere una «photo opportunity» con i tre prima che il loro incontro incominciasse. Nessuno lo aveva avvertito che nel frattempo Bush e la Condoleezza Rice erano stati raggiunti a bordo dell’Air Force One da una telefonata dell’ambasciatore americano a Baghdad, Zalmay Khalilzad, che annunciava per l’appunto la decisione di Maliki di non partecipare all’incontro. «No – dicevano gli uomini di Bush dopo che la notizia è diventata pubblica – il presidente non è seccato».
A spingere Maliki a compiere quello «sgarbo» erano stati due elementi. Uno: la pubblicazione sul New York Times del rapporto «segreto» preparato dal consigliere di Bush per la sicurezza nazionale, Stephen Hadley, in cui si diceva che del primo ministro iracheno ormai non ci si può più fidare perché è uno che «ignora la realtà delle strade di Baghdad». L’altro: la minaccia di Moktada al-Sadr di lanciare contro Maliki i suoi 30 parlamentari e sei ministri se si fosse azzardato a incontrare Bush. In pratica Maliki si era sentiva privato sia dell’appoggio «esterno» americano che di quello «interno» di Moktada.
Ma siccome uno sgarbo non poteva andare oltre certi limiti, ecco ieri mattina Bush a Maliki incontrarsi per una «colazione di lavoro» durante la quale non si sarebbe minimamente parlato del rapporto uscito sul Times. Di che hanno parlato, allora? Secondo Bush, lui e Maliki hanno concordato sulla necessità di accelerare il processo per arrivare al momento in cui il governo iracheno sarà in grado di «controllare il paese» da solo, ma non hanno concordato nessun piano piano né tantomeno una scadenza, tanto che Bush ha colto l’occasione per liquidare il contenuto dell’altro rapporto – quello della commissione bipartisan sull’Iraq guidata dall’uomo di Bush padre, James Baker – di cui proprio ieri si è conosciuto il contenuto. Quel rapporto – palesemente frutto di un compromesso fra repubblicani e democratici – oltre a elencare tutta una serie di «gravi errori» compiuti dall’amministrazione, raccomanda un «ritiro graduale» delle truppe americane in Iraq, dice che il ritiro deve cominciare «presto» ma non indica una data.
«A Washington – ha detto Bush – si specula molto sulla possibilità che esista una graziosa uscita dall’Iraq», ma la realtà è che «noi resteremo in Iraq finché il lavoro non sarà concluso e finché il governo iracheno ci vorrà». Poi ha anche mandato una specie di monito: «Questa storia del fissare i tempi del ritiro la sento dire da quando la guerra è cominciata. Bisognerebbe capire che ciò suscita nella gente aspettative irrealistiche». Insomma niente di nuovo né per Bush, messo sotto pressione dalla disfatta subita alle elezioni del 7 novembre, né per Maliki. A una domanda che gli è stata rivolta su quanto possa contare su un alleato come Moktada al-Sadr, il primo ministro iracheno ha risposto stizzito: «La mia coalizione non è fatta di una sola entità». A conti fatti, scherzavano dopo la deludente conferenza stampa i giornalisti americani, la differenza fra questo incontro e l’ultimo che i due hanno avuto – il segretissimo viaggio compiuto da Bush in Iraq un paio di mesi fa – è che allora Bush disse di essere andato a Baghdad per «guardare negli occhi» Maliki, stavolta invece non si sono neanche guardati in faccia. E infatti, nonostante le belle parole con cui hanno cercato di nascondere il risultato zero della loro colazione di lavoro («Ho avuto modo di vedere emergere un leader di grande coraggio», ha detto Bush di Maliki; «Non c’è un problema fra noi», ha detto più sobrio Maliki), l’unico incrocio di sguardi fra loro ha avuto luogo quando Bush, cercando di fare il cordialone, ha chiesto a Maliki se volesse andare avanti con le domande dei giornalisti. Il premier, che non aveva nascosto il suo forte desiderio di essere altrove, gli ha piantato in faccia un’espressione di fuoco sibilando: «Avevamo detto sei domande e siamo già alla settima, anzi all’ottava».