Ad un mese e mezzo dal voto, Ehud Olmert, premier ad interim e leader del partito Kadima, ha lanciato il «piano di disimpegno 2» volto a definire unilateralmente i confini orientali di Israele, annettere allo Stato ebraico l’area della «Grande Gerusalemme» e chiudere in cantoni i palestinesi della Cisgiordania. «Ci separeremo dalla maggior parte della popolazione che vive in Giudea e Samaria (la Cisgiordania) e questo ci obbligherà ad abbandonare dei territori (palestinesi) oggi sotto il controllo israeliano», ha detto ieri sera il primo ministro in un’intervista rilasciata al secondo canale della televisione israeliana. L’era Olmert si annuncia perciò simile a quella di Ariel Sharon, in coma in ospedale da oltre un mese. Israele detta legge sul terreno e le mosse unilaterali annunciate ieri dal premier, che nel pomeriggio aveva visitato i cantieri dove è in costruzione il muro, hanno un fine esclusivamente politico e non di sicurezza. Israele manterrà il controllo su quattro aree: il blocco di insediamenti di Maale Adumim (30mila coloni, adiacente a Gerusalemme), quello di Gush Etzion (15 mila coloni) e quello di Ariel (circa 18mila coloni) e infine la Valle del Giordano, perché «impossibile per lo Stato ebraico abbandonare il controllo della frontiera orientale». Sulla base di questo piano, una volta ultimati i 650 chilometri del muro lungo la Cisgiordania occidentale – restano ancora tratti in costruzione intorno a Gerusalemme – potrebbe essere approvata e realizzata la seconda parte del progetto del muro nella Valle del Giordano, di cui si è parlato talvolta negli ultimi due anni.
Ieri mattina in anticipo sul premier, il ministro della difesa Shaul Mofaz, anche lui confluito nel partito Kadima, aveva detto in un’intervista al quotidiano Maariv che il nuovo partito fondato da Sharon vuole determinare i confini definitivi d’Israele entro due anni, in caso di vittoria elettorale. «Immediatamente dopo il voto, il governo si occuperà dei confini definitivi», ha affermato. Nonostante il piano di Olmert e Mofaz sia palesemente favorevole agli interessi israeliani, dal Likud sono giunte ugualmente dichiarazioni critiche, in particolare per il riferimento alla valle del Giordano. Un portavoce del partito ha ricordato che quando Olmert e il ministro degli esteri Tzipi Livni facevano ancora parte del Likud si opposero alla costruzione di una ulteriore barriera lungo la valle del Giordano, ritenendo sufficiente il muro in fase di costruzione lungo la linea di demarcazione fra Israele e Cisgiordania. Ora invece Olmert e Livni sono in linea perfetta con il Likud di Netanyahu.
Di pari passo al «piano di disimpegno 2» proseguono le operazioni militari. Almeno undici militanti del Jihad islami e delle Brigate dei Martiri di al Aqsa sono stati assassinati dalle forze armate israeliane negli ultimi giorni a Gaza e in Cisgiordania. È una ripresa in grande stile della politica degli «omicidi mirati», legata più a motivazioni elettorali che ad esigenze di sicurezza. Il premier facente funzioni cerca di dimostrare alla sua opinione pubblica di avere in pugno la situazione, anche dopo la vittoria di Hamas alle legislative palestinesi del 25 gennaio, anche se la sua linea del pugno di ferro non ferma i lanci di razzi artigianali palestinesi sul Neghev settentrionale. Ieri a Nablus (Cisgiordania) una unità speciale israeliana ha ucciso, al termine di uno scontro a fuoco, il comandante locale del Jihad islami, Ahmed Redad, 35 anni, (almeno altri 12 palestinesi sono rimasti feriti). Altri due palestinesi, delle Brigate dei Martiri di Al Aqsa, sono rimasti uccisi in un raid aereo sul quartiere di Sabra (Gaza city) mentre è deceduto in ospedale un militante dell’Intifada ferito nei giorni scorsi.
Il Segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, ha espresso preoccupazione per le uccisioni mirate che, ha detto, equivalgono ad esecuzioni senza processo e la loro attuazione mette in pericolo la vita dei civili. Annan ha anche condannato i «ripetuti attacchi con razzi» contro Israele e affermato che entrambe le parti devono rispettare il diritto umanitario internazionale.