Ripartire da Genova

Molti compagni che si sono espressi sulle vicende di Genova, hanno concordemente riconosciuto che dopo di esse “nulla è più come” prima. Una valutazione diventata velocemente senso comune, accompagnata da argomentazioni ed apprezzamenti diversi e in alcuni casi divergenti, ma non sulla loro portata ed importanza.
Si assume così la nozione di rottura prodotta da quell’evento, rispetto a una lunga fase, in cui soprattutto da parte dei giovani non si sono prodotti movimenti antagonisti e di massa. Ciò è divenuto, com’è naturale, motivo di dibattito e di confronto, non eludibili, per le implicazioni che derivano dalla lettura degli avvenimenti di Genova, dei movimenti che li hanno determinati e dei rapporti con essi. Ci siamo chiesti molte volte, in questa lunga fase di rampantismo imperante, di egemonia del mercato e dell’impresa sul piano materiale e culturale, che fine avessero fatto i lavoratori, i compagni e le compagne, tutti quei soggetti che avevano dato vita a circa un ventennio di lotte e di esperienze straordinarie.
Un accumulo di conquiste, una partecipazione di massa alla politica, una sedimentazione culturale fortemente contaminata dall’idea che almeno una parte dell’attività produttiva potesse uscire dal mercato e dovesse realizzare beni d’uso, per rispondere a bisogni primari, come l’istruzione, la salute, l’abitazione, i trasporti e che il lavoro potesse non dipendere dagli interessi del capitale.

Il conflitto e la politica

Poi per un lungo periodo è sembrato che teste e cuori, soprattutto dei giovani, non riuscissero a sentire e a pensare nulla al di fuori del mercato. L’abbiamo chiamata “omologazione” ed abbiamo cercato di opporre a tutto questo una resistenza, che non avesse un carattere residuale, ma riproponesse il conflitto come risposta forte e credibile, con la convinzione che questa modernizzazione capitalistica stesse aprendo nuove e più forti contraddizioni. Abbiamo colto tutti, almeno, nel nostro partito la necessità di una attualizzazione degli strumenti di analisi, dei contenuti e delle forme della politica, per affrontare la nuova fase liberista e per questo, è bene non dimenticarlo mai, abbiamo posto il problema della rifondazione comunista. E’ un tratto ormai identitario degli uomini e delle donne, che con il proprio impegno e la determinazione, propria dei comunisti in tutte le epoche, hanno consentito e consentono a questo nostro partito di vivere, nonostante le disavventure e le avversità esterne ed interne, passate e presenti.
Ciò non vuol dire che siamo sempre riusciti a leggere adeguatamente la realtà, complicata ed ostile, profondamente degenerata proprio su quel terreno della politica, così essenziale per opporsi allo strapotere capitalistico. Terra bruciata da ceti politici e sindacali, che di fronte alle oggettive difficoltà, prodotte da imprese e mercati sempre più forti ed aggressivi, grazie ad un uso della globalizzazione anche per il massacro sociale, non dalla legittimazione da parte dell’avversario.

Una nuova generazione

Un’ autoreferenzialità che ha allontanato dalla politica intere generazioni ed ha confuso e regalato ai “valori” borghesi tanta parte del popolo di sinistra. In questi terribili anni, tuttavia, si sono prodotti e sono cresciuti dei fenomeni che oggi possiamo forse cominciare a decodificare, diversi per dimensione e grado di antagonismo, come quello del volontariato, cattolico e non solo, a fini umanitari e ambientali, ma con la caratteristica comune della ricerca di esperienze altre, rispetto ai rapporti sociali dominanti.
Fenomeni carsici, presenti soprattutto tra i giovani alla ricerca di aggregazione, innanzitutto in quanto tale, poi di comunanza e di solidarietà. Certo in molti casi i giovani si fermano all’aggregazione, che può diventare tifoseria o branco, nei casi peggiori, ma con dietro sempre la voglia di sfuggire a quella “solitudine” che questa società ti propone di superare solo con la funzione del “perfetto consumatore”.
Bisogna riconoscere a Giovanni Paolo II la capacità di aver percepito tutto questo e di averci puntato per il rilancio di una chiesa in crisi, anche perchè troppo sbilanciata a favore del “capitalismo reale”. Temi come la fame nel mondo e il lavoro minorile sono stati in questi anni al centro di attività parrocchiali, di miriadi di piccole associazioni e di innumerevoli progetti di lavoro scolastico, anche in collaborazione con l’Unicef, in migliaia di scuole elementari e medie.
Sul terreno ambientale, molte associazioni hanno praticato direttamente la “cura” dell’ambiente, in molteplici esperienze, che hanno diffuso una cultura non sempre rigorosa sul piano scientifico, ma sanamente diffidente verso l’attuale sviluppo capitalistico. Senza parlare poi del volontariato entrato in azione per gli immigrati, i profughi, i popoli colpiti dalle guerre, gli anziani, e l’elenco si potrebbe allungare ancora di molto.
Non sto parlando di raggruppamenti politicizzati, per come l’intendiamo noi, o di espressioni politiche compiute, ma di fenomeni di straordinaria anomalia, in una società tornata a forme di sfruttamento di tipo ottocentesco e dedita all’esclusione da una parte e alle ricchezze incalcolabili e all’inclusione consumistica dall’altra. Mi sembra che debba interessarci moltissimo questa galassia di formazioni ostili al capitalismo liberista di questa fase e dunque oggettivamente nostre “compagne di strada”, nel momento in cui sviluppano la critica in modo radicale anche se parziale. Di grande interesse sono anche le loro nuove modalità organizzative, costruite sulla critica di singoli aspetti della globalizzazione liberista, ma oggettivamente tendenti alla messa in discussione del capitalismo in quanto tale, quello che tutti sperimentiamo qui e ora. In questa modalità è decisivo il ruolo giocato dai mezzi, come internet, che trasformano la stessa comunicazione in iniziativa politica.
Abbiamo già visto in occasione del movimento degli insegnanti qualcosa di simile e ne abbiamo misurato l’efficacia, come non esserne contaminati?

Il mondo del lavoro

Da qui alla costituzione di una soggettività definita e stabile il passo non è breve, l’abdicazione di gran parte della sinistra, dal suo ruolo, da troppi anni a questa parte, ha prodotto deserto e anche il conflitto di classe nei luoghi di produzione, la cui centralità nessuno che si dica comunista può mettere in discussione, non ne ha ricavato che isolamento ed asfissia.
Non è la stessa cosa la lotta nei luoghi di lavoro in un contesto privo di solidarietà e perfino di comprensione, rispetto a una situazione anche di sola attenzione per le ragioni dei lavoratori. La Fiom, impegnata in una difficile vertenza, a forte rischio di isolamento, ha ben compreso questo, aderendo al Gsf. Cose ovvie, forse, ma la vicenda di Genova, orribile per il volto repressivo del potere che ci ha mostrato, esaltante per aver fatto emergere l’esistenza di tanti movimenti che si sono espressi, tutti insieme per la prima volta, contro la globalizzazione liberista, ha aperto tra noi un dibattito che mi è sembrato singolare, in certi interventi sul nostro giornale.
Scarsamente comprensibili, persino, perché apparentemente incentrati su cose che dovrebbero essere scontate tra noi, ma sottintendenti forse punti “pesanti”, sui quali dovremo seriamente confrontarci nell’imminente fase congressuale, come il rapporto con i movimenti e le istituzioni e la forma partito.

Una discussione utile

Penso che su questi punti dovrebbe essere propedeutica a qualsiasi discussione l’idea che non esistono modelli statici, uguali e buoni per tutte le epoche e le stagioni, a meno che non si voglia assumere un atteggiamento astorico e idealistico. Ritengo anche che il lavoro analitico e di interpretazione dei fenomeni sociali del nostro tempo debba essere ancora molto approfondito e soprattutto svolto collettivamente, cosa sulla quale giocherà un ruolo decisivo l’impostazione del prossimo congresso.
Nel frattempo la nostra internità alla galassia no-global, con la modestia ed il rispetto dovuti a soggetti diversi da noi, ma con eguale diritto a scegliere propri percorsi, è motivata oltre che dalla comune opposizione alla globalizzazione liberista, e non è poco, anche dalle iniziative specifiche che si possono fare insieme, che vanno dalla vertenze dei meccanici all’accesso ai farmaci, dall’abolizione del lavoro minorile alla distribuzione delle terre in Sud America, dalla lotta agli Ogm al diritto all’istruzione per tutte e tutti. Ovviamente questa internità e la nostra pratica unitaria sono fortemente ostacolate dal potere costituito, che a Genova ha bastonato tutti allo stesso modo, senza distinzione, per tentare poi in ogni occasione mediatica e in ogni sede istituzionale di dividere un movimento, di cui ha paura, in “buoni” e “cattivi”. L’impegno nei confronti del Gsf e nella discussione tra noi è bene che non abbandoni mai il merito dei problemi che si affrontano, in un caso ci evita di cadere nelle trappole dei distinguo, nell’altro di non sapere su cosa si discute.

*Segreteria nazionale Prc