Rinaldini: «Niente accordo di legislatura tra Prodi e Cgil»

Soddisfatto della conclusione del XV congresso della Cgil?
Il congresso si è chiuso unitariamente. Lo sbocco naturale di un percorso che prevedeva un documento unitario e alcune tesi alternative. Del resto, il documento conclusivo è un documento positivo, così come alcuni ordini del giorno significativi e non scontati tipo quello sul 18 marzo, e l’ordine del giorno sulla Tav, che afferma che ci deve essere prima della ripresa dei lavori il confronto, con pari dignità, tra le diverse ipotesi. Mi sembra una posizione tutt’altro che scontata. Nel complesso una conclusione positiva che al di là del voto ha avuto l’apprezzamento di tutti.

E’ rimasto il dubbio sulla opportunità di fare il congresso subito prima delle elezioni…

Non c’è dubbio che sul congresso ha pesato il fatto dell’imminente scadenza elettorale. E questo ha determinato di fatto un delicato equilibrio tra l’esigenza di un risultato elettorale di cambiamento del quadro politico e la necessaria riaffermazione dell’autonomia del sindacato. Parliamo di una esigenza che deriva da tutto ciò che ha rappresentato il governo Berlusconi, dall’attacco ai diritti alla riduzione del potere d’acquisto, alla evidente e delicata crisi istituzionale che si sta determinando e che presenta aspetti inquietanti sulla stessa tenuta degli equilibri democratici. Dall’altra parte, il fatto che il sindacato non può delegare a nessuno il suo ruolo e i suoi obiettivi. E quindi, un’auspicabile nuovo esecutivo dovrà misurarsi con quelle che sono le rivendicazioni di profonda modifica della politica di governo.

La proposta di accordo fiscale contiene delle insidie?

La proposta di un accordo fiscale deve rappresentare un elemento di inversione nella distribuzione del reddito che nel corso di questi anni è stata punitiva rispetto al lavoro dipendente e ai pensionati. Nel dire accordo fiscale non penso a un patto di legislatura, che inevitabilmente esporrebbe il sindacato a un rapporto non chiaro con il governo. Piuttosto, assegno a questa scelta l’indicazione di un percorso che va dalla questione fiscale alla legislazione sul lavoro, che sostanzia la negazione della politica dei due tempi e quindi di una riedizione del patto sociale del 23 luglio ’93. Fuori dallo schema del patto sociale colloco il fatto che il sistema di regole contrattuali non è una priorità e che va affrontato garantendo l’autonomia delle organizzazioni sindacali.

Non hai anche tu la sensazione che ora siete meno soli a parlare della centralità della democrazia?

Non c’è dubbio che la questione della democrazia ha avuto un rilievo importante a partire dal fatto che è diventato elemento decisivo per la stessa discussione sulla proposta unitaria per il sistema di regole contrattuali. Del resto, continuo a ritenere che alla fin fine un soggetto sindacale autonomo e indipendente ha un’unica fonte di legittimazione che è quella del voto dei lavoratori e delle lavoratrici che vuole rappresentare, e che garantisce rispetto a qualsiasi ragionamento sul governo amico.

Democrazia e vita interna del sindacato?

Per quanto riguarda l’esperienza democratica di un congresso con tesi alternative mi pare viceversa che questa esperienza ci consegna un problema non risolto sul funzionamento dell’insieme dell’organizzazione. Aggiungo, probabilmente è stato un passaggio inevitabile vista la novità che fuoriesce dallo schema classico dell’unanimismo o delle mozioni globalmente alternative ma ciò nulla toglie al fatto che, essendo convinto che la prospettiva del sindacato è quella di essere un soggetto profondamente democratico, i processi di autoriforma di una organizzazione sindacale, tanto più di una grande organizzazione sindacale come la Cgil, sono sempre stati molto complicati. Non mi riferisco ai numeri del Comitato direttivo, ovviamente, ma ai criteri con i quali vengono composti gli organismi dirigenti che non sempre esprimono un livello adeguato di rappresentatività. Questo è il senso della dichiarazione che ho fatto al congresso, non avendo in alcun modo la presunzione di avere una risposta. Ma sarebbe già importante avere la consapevolezza.

Cosa pensi del fatto che, come ha dichiarato Epifani, in futuro verranno coopati alcuni sindacalisti migranti nel comitato direttivo nazionale?

Ecco, appunto. In questo piccolo episodio c’è la spia di un problema più generale, di come si compongono gli organismi dirigenti.

Si è molto discusso anche di filiere produttive e organizzazione sindacale, ma non si intravedono soluzioni convincenti.

Rimane un problema insoluto perché non può essere affrontato a pezzi e non si capiscono quali sono i criteri della riorganizzazione della Cgil che inerisce sia la questione degli accorpamenti delle categorie, sia dei confini contrattuali. Il rischio è che vadano avanti accorpamenti tra categorie con scelte per affinità politica. C’è rapporto tra il profilo della filiera e il profilo della riorganizzazione. Oggi questo rapporto non si vede.