Rinaldini: «La concertazione è assolutamente impossibile»

«Sono emerse due visioni dell’Italia e del suo futuro. Anche la distribuzione economica e sociale del voto, con la netta prevalenza della Casa delle libertà nelle zone industriali del Nord e nelle regioni più produttive del Centro e del Sud, pone un problema di grande rilevanza» ha scritto ieri Silvio Berlusconi nella sua lettera al Corriere della Sera. «Non credo che il voto possa essere semplificato con una distinzione fra parte produttiva e parte debole del Paese» gli risponde il segretario generale della Fiom, Gianni Rinaldini, in questa intervista a Liberazione.

E’ vero che c’è un Nord produttivo di destra e un Sud povero di sinistra?

No, non si può fare una lettura in termini sociali di questo genere, non prima almeno di aver studiato i dati in maniera più disaggregata. Poi, anche dal punto di vista produttivo non ci sono zone omogenee, né al Nord né al Sud. Per dire, la Calabria non è la stessa cosa della Campania.

Però è innegabile che quello che una volta era il motore del Paese, il Nord-est è rimasto compatto con Berlusconi…

E’ vero e non va sottovalutato. Voglio anche dire che è la prima volta che la sinistra si è presentata con una coalizione che ha goduto di un ampio consenso, basti pensare al Corriere della Sera. Quindi, che Berlusconi abbia preso il 50% non può che essere elemento di analisi.

Tu ti sei già fatto un’idea?

Di una cosa sono abbastanza sicuro: c’è stata una sottovalutazione da parte della sinistra dell’importanza di capire i processi sociali degli ultimi anni, e non solo degli ultimi cinque anni. C’è stata in questo Paese una devastazione culturale, politica e sociale che ha radici molto, ma molto profonde. Questo ha cambiato i comportamenti, il rapporto fra politica e gente e anche l’approccio agli interessi collettivi. Su questo versante il conflitto di interessi è un dato strutturale che è cresciuto e ha fatto crescere l’intreccio fra mondo politico e affari, andando a colpire anche la borghesia.

La borghesia?

Sì, perché si è fatta largo l’idea di creare una nuova borghesia in sostituzione delle vecchie famiglie senza uno straccio di politica industriale, compresa la politica del lavoro. Tutto è diventato finanziarizzazione e rendita, tutto è diventato possibile in qualsiasi forma e modalità se l’obiettivo è fare soldi il più rapidamente possibile. Da qua gli effetti devastanti nel mondo dell’impresa, come è successo nel Nord-est.

Secondo te gli imprenditori hanno avuto paura del centro sinistra che parlava, per esempio, di tassazione delle rendite?

Beh, più in generale l’Unione non è riuscita a esplicitare un’idea, un progetto alternativo per la crescita del Paese, che pure è nel programma. I temi della campagna elettorale li ha dettati Berlusconi, poi è stato tutto un gioco all’inseguimento. La questione sociale, il fatto che le retribuzioni siano diminuite, la precarietà ecc.. sono scomparsi. Ma il processo è ben più profondo e parte dall’idea che sia la televisione il luogo dove tenere il rapporto fra politica e popolo. Molti candidati mi hanno raccontato che se si avvicinavano alle fabbriche per dare i volantini, gli operai rispondevano: «vi fate vedere solo adesso perché si vota». E hanno ragione ad essere diffidenti, perché i partiti si sono ridotti a comitati elettorali. Quando si parla di americanizzazione si parla anche di questo.

Molti pensavano che la crisi economica avesse favorito l’Unione…

Sì, ma non è vera la storia che chi sta peggio automaticamente vota a sinistra, non è mai stato così. Il disagio sociale è profondo, ma non si esprime automaticamente verso la sinistra.

A urne chiuse, ma in una situazione conflittuale che non accenna a finire, inizia il gioco della parti. Secondo te dove si collocherà Confindustria?

Mi pare chiaro che Confindustria ha già iniziato a esplicitare la sua posizione, almeno laddove è diversa da quella del governo, vedi legge 30. Per questo penso che per il nuovo esecutivo sarà importante mantenere ferma la barra a quanto è scritto nel suo programma. Le pressioni saranno fortissime. Confindustria riproporrà in tempi brevi quelle operazioni che dal punto di vista sociale sono in assoluta continuità con quanto fatto finora. Cercherà di far valere la sua posizione, tanto più di fronte a un risultato elettorale che ha partorito una maggioranza non così ampia come ci si poteva aspettare. Mi aspetto che chiederà subito due cose: la riedizione dell’accordo del ’93 nelle sue parti peggiori e il mantenimento della legislazione sul mercato del lavoro.

Ossia, quanto più lontano possibile dalle rivendicazioni del sindacato…

Sì, basta leggere l’articolo di Bombassei sul Corriere di pochi giorni fa. Il sindacato ha le sue posizioni e la Cgil ha votato un documento congressuale che chiede l’abrogazione della legge 30. Credo che questo debba essere il primo segno di discontinuità da parte del governo. Poi mi auguro che si passi ad una politica di redistribuzione del reddito.

Come Confindustria, anche il sindacato potrà giovarsi di un governo a maggioranza “debole”, giusto?

Sì, il sindacato farà valere le sue posizioni, ma non è che l’Unione deve fare quello che dice il sindacato o quello che dice Confindustria. L’importante è capire in quale direzione si va. Attraverso determinate scelte dal punto di vista sociale e la messa in discussione delle scelte del passato, l’Unione potrà aumentare consenso e credibilità anche fra i lavoratori dipendenti. Altro che Ici o non Ici.

Se dalla situazione attuale uscisse una sorta di grossa coalizione estesa a sindacati e Confindustria, quale sarebbe il tuo giudizio?

Innanzitutto quello che propone Berlusconi, cioè lavorare insieme per quei quattro o cinque obiettivi e poi rivotare, è fuori dal mondo. Per il resto, non credo che siamo come negli anni 90. Anche allora uscivamo da una crisi economica, ma gli accordi di allora, come quello sulla concertazione, non sono assolutamente ripetibili. Il reddito e la precarietà non sono le cause dei problemi dell’industria, semmai ne sono le conseguenze.