Rinaldini, FIOM: «La politica non assista in silenzio alla nostra lotta»

Intervista al segretario generale della Fiom, Gianni Rinaldini, alla vigilia dello sciopero nazionale dei metalmeccanici: «Mi aspetto alte adesioni»

Domani i metalmeccanici di tutta Italia torneranno in piazza per il rinnovo dei contratti. La posta in gioco è altissima e il momento della nostra economia è fra i peggiori che si ricordino da qualche anno a questa parte. Gli imprenditori sembrano irremovibili nella loro offerta di un aumento di 60 euro (quando Fim, Fiom e Uilm ne chiedono 130), ma il fronte sindacale è unito sin dall’inizio della vertenza e lo sarà anche domani nelle molte piazze che ospiteranno le manifestazioni delle tute blu. Una piccola crepa si è verificata ieri alla Fma (gruppo Fiat) di Pratola Serra, in provincia di Avellino, dove Fim e Uilm hanno firmato l’intesa per effettuare 5 sabato di straordinari, nonostante la piattaforma dello sciopero preveda anche il blocco degli straordinari motivo per cui gli Rsu della Fiom non hanno sottoscritto l’accordo interno. Ma quando, il 4 settembre, riprenderà la trattativa con Federmeccanica «ci presenteremo uniti e se non ci saranno novità inaspriremo le forme della nostra lotta» dice senza esitare Gianni Rinaldini, segretario generale della Fiom. E’ reduce da una riunione sulla situazione de L’Aquila, una città in ginocchio con il suo polo elettronico, quando riceve Liberazione per un’intervista. E da L’Aquila partiamo.

La crisi che attraversa quel polo elettronico, fiore all’occhiello dell’industria italiana, la dice lunga sulla situazione in cui ci troviamo..

Già, il crollo di quella realtà è emblematica del fallimento delle scelte di politica industriale, e c’è un territorio che rischia di crollare con esso. Tutto questo testimonia anche che la crisi è trasversale e va a colpire quasi tutti i settori.

E intanto l’osservatorio del Map rileva che una provincia italiana su due presenta fenomeni «rilevanti» di crisi…

E’ la fotografia di un Paese la cui industria va sempre peggiorando. Dal 2000 la produzione industriale non cresce e questo è dovuto principalmente al fatto che con l’avvento dell’euro non si può più utilizzare la svalutazione della moneta come intervento strutturale nell’economia. Serviva un salto di qualità che puntasse sull’innovazione, la ricerca e la qualità che non c’è stato. C’è stato l’opposto, il tentativo di recuperare il gap con le altre potenze nel terreno della compressione dei costi. Ma è una rincorsa senza fine e in cui sarai sempre perdente.

Confindustria ha presentato le sue linee per la contrattazione in cui rivendica il diritto di fissare turni di lavoro. Lo sciopero di domani sarà una risposta comprensibile?

Il loro documento significa in sostanza che questo contratto non lo vogliono fare. E noi rispondiamo nell’unico modo che abbiamo. Mi aspetto una grande partecipazione alla giornata di domani, che cade alla vigilia della ripresa del confronto. Se poi Confindustria dovesse confermare le proprie posizioni sarà inevitabile un ulteriore inasprimento della lotta e delle sue forme, andando ad incidere direttamente sulla produzione.

Se la crisi è generale, non ci sarebbe bisogno di una mobilitazione collettiva?

Il contratto dei meccanici assume sempre un significato di carattere generale. Non c’è dubbio che le posizioni che assume oggi Federmeccanica vanno lette alla luce del documento di Confindustria. Per loro tutto deve essere subordinato alla produttività, tutti i vincoli sociali che possono intralciare la competitività sono inaccettabili. E’ lo schema del liberismo: per loro il contratto nazionale rappresenta un valore di solidarietà. E credo che un’iniziativa di lotta generale sia tanto più necessaria se le voci, perché di questo si tratta, che circolano sulla prossima finanziaria venissero confermate. Ovviamente la cosa migliore, ma questo non c’entra con lo sciopero, sarebbero le elezioni anticipate.

Ieri l’Istat ha diffuso i dati sulle retribuzioni, in cui i metalmeccanici risultano aver avuto l’incremento più basso fra tutte le categorie e il sottosegretario Sacconi ha detto che è colpa della testardaggine della Fiom…

Io a Sacconi non rispondo, perché ormai è ovvio che è un problema suo. Però voglio dire che c’è un incrocio fra la diminuzione del potere d’acquisto, la precarizzazione nelle forme più incredibili e il peggioramento delle condizioni di lavoro che ha determinato una condizione di totale insicurezza sociale. C’è un disagio assolutamente intollerabile, accentuato dalle leggi varate in questi anni.

A volte però sembra che all’interno di alcune fabbriche, o anche nei call center per esempio, i lavoratori abbiano qualcosa da ridire anche riguardo all’operato dei rappresentanti sindacali. In altre parole, sembra quasi che anche il sindacato abbia capito la trasformazione in atto un po’ in ritardo. O no?

Come dicevo, c’è un disagio sociale che se non trova una risposta, anche attraverso un percorso democratico, si può manifestare con improvvise manifestazioni e diventare di difficile gestione. Ma il rapporto non è sempre così automatico: penso a Melfi dove, prima dei 21 giorni, i lavoratori avevano bocciato altre iniziative proposte da noi. Adesso invece che la Fiat ci riprova ha avuto una risposta immediata.

La mobilitazione quindi è l’unica arma che hanno i lavoratori. E la politica?

E’ evidente che nella partita che si è aperta per i metalmeccanici, proprio per il valore che ha, non è bene che la politica resti in silenzio. E visto che siamo in una fase pre-elettorale, cioè quando si scrivono i programmi, dovrebbero costruire qualcosa di alternativo rispetto a quanto c’è adesso.