«Siamo di fronte a una situazione incredibile, ormai è difficile persino definirla: il governo è in agonia, e ogni giorno che passa crea un danno in più». Il segretario generale della Fiom Gianni Rinaldini commenta così la riuscita dello sciopero generale: «I lavoratori sono stanchi – spiega – stanchi di dover subire solo tagli: ai servizi e al welfare, alle retribuzioni, ai diritti. Il peggioramento è continuo e progredisce con velocità: sul potere d’acquisto di redditi e pensioni, le condizioni del lavoro, la precarietà. Con la protesta, gli scioperi, i cortei, si dice no all’impoverimento e all’abbassamento delle tutele, ma davvero l’esecutivo alza la tensione e la situazione rischia di diventare pericolosa».
Il disagio sociale è fortissimo, d’altra parte sugli striscioni si incrociavano moltissimi temi: la precarietà, non solo quella dei giovani intermittenti, ma anche di tanti uomini e donne escluse dal mondo del lavoro a quaranta, cinquant’anni. La difficoltà dei pensionati. O questioni come l’alta velocità, a Torino centrale nel corteo.
Sì, i piemontesi scesi in piazza per dire no alla Tav erano vicino ai metalmeccanici, accanto agli striscioni della Fiom. Il lavoro è intrecciato, ovviamente, a tutto quanto tocca da vicino la vita delle persone. Persino la devolution o la finanziaria, che sembrano temi «alti», mobilitano e toccano nel vivo: pensiamo a quello che sta facendo il governo con la riforma della Costituzione. Non si tratta solo di spezzare la solidarietà dal punto di vista del welfare e dei servizi: la devolution vuol dire venti contratti regionali, punta a dividere il mondo del lavoro.
In effetti il governo torna periodicamente a proporre le gabbie salariali. Ma sui meccanici, ancora più forte è la pressione per farvi accettare la flessibilità selvaggia, a opera di Federmeccanica. Con insistenza, da diversi giorni, si parla di una possibile chiusura entro l’anno: ma allora siete vicini sulle cifre dell’aumento?
Assolutamente no, i numeri sono ancora molto distanti. Quello di fine anno è l’obiettivo che ci siamo dati, in effetti, ma bisognerà vedere come vanno i prossimi incontri. Federmeccanica ci offre 70-80 euro, noi restiamo fermi sui 130: 105 base più i 25 per chi non firma gli integrativi. Sarebbero disposti ad alzare la cifra, dicono, se noi concediamo una flessibilità non contrattata: ma è fuori discussione, lo abbiamo ripetuto più volte. Come si può chiedere di gestire unilateralmente il lavoro e il tempo delle persone, per giunta offrendo in cambio pochi euro?
Di questi temi, ad esclusione di pochissimi giornali, la grande tv non parla mai. Appena il Tg3 ha pensato di dedicarvi una puntata di «Primo Piano» è partito l’attacco.
Soprattutto è la reazione di Berlusconi a parlare più delle altre: non appena nei mezzi di informazione si discute di problemi reali, subito scatta il tentativo di censurare. A tutti i costi, oltretutto: ieri ha pure fatto una delle sue gaffes, confondendo Epifani con Cofferati. E comunque se Rai 3 ci ha dedicato degli spazi, questo non vuol dire che siamo visibili in altre parti della Rai. Non a caso abbiamo inviato una lettera ai vertici della tv di Stato, perché il nostro corteo del 2 dicembre a Roma possa avere una diretta.
Dal fronte del centrosinistra, per passare a un altro tema di stretta attualità, sembrano arrivare segnali pessimi sul destino della legge 30. Fassino, una settimana fa, parlava addirittura di «migliorarla», mettendo da parte non solo l’idea di abrogarla, ma addirittura quella di una qualche modifica radicale. Quali priorità dovrebbe avere il prossimo governo?
Se parliamo di priorità, senza dubbio sono due: una nuova legislazione sul lavoro e una legge sulla democrazia sindacale. Sulla legge 30, il dibattito nel centrosinistra è ancora a dir poco confuso. Si vuole far finta di disquisire sulla differenza tra «abrogazione» e «modifica», ma si rischia di rimanere ai nomi delle cose. Io dò al termine «abrogazione» un significato preciso, nel senso che c’è bisogno di una nuova e radicalmente diversa legislazione sul lavoro, che dia il senso di una rottura con il passato. Eliminando tutte quelle forme che precarizzano, dal lavoro a chiamata allo staff leasing, al lavoro ripartito. Rimettendo al centro il tempo indeterminato. Ma di legge 30 almeno si parla: la democrazia è invece sparita del tutto dal programma dell’Unione, una parte consistente della sinistra è ancora convinta che sia solo uno strumento. Votare su piattaforme e accordi che riguardano il proprio lavoro è al contrario un diritto, e andrebbe garantito da una legge.