Rinaldini: così il governo ci spinge al conflitto sociale

La Fiat che veleggia all’estero ma in Italia naviga a vista; il Dpef che sembra foriero di una finanziaria dolorosa per sanità, pensioni ed enti locali; il nodo interno al sindacato circa la possibilità che anche a un governo «non nemico» si debba contrapporre
il «conflitto sociale». Anche se è luglio e fa un caldo boia, nelle riflessioni del segretario generale della Fiom, Gianni Rinaldini, spira già un vento carico di nubi, tipicamente autunnale.
Rinaldini, partiamo dal Dpef. Cosa ne pensa?
«Mi pare che siano stati individuati capitoli di intervento che, con una manovra così pesante, colpiscono il sistema pensionistico, la sanità, gli enti locali e la pubblica amministrazione. Vedremo la finanziaria, ma allo stato attuale non posso che esprimere un giudizio negativo».
Così drastico?
«Insomma, in un paese con la spesa sociale tra le più basse d’Europa ipotizzare ulteriori misure su quei capitoli significa intervenire di nuovo sulle condizioni di vita dei lavoratori. E per dirla tutta, il problema non è neanche quello di dilazionare nel tempo quegli interventi, che serve semmai per raccogliere i risultati di quella vergogna italiana che sono l’evasione e l’elusione fiscale».
E qual è allora il punto?
«È assolutamente prioritario agire sul terreno della politica industriale e del lavoro. Con una nuova legislazione del lavoro che superi i processi di precarizzazione, perché non a caso – a fronte di una ripresa produttiva – i precari stanno arrivando ai due terzi dei nuovi assunti».
Tutto il resto, allora, le va bene?
«Purtroppo no. Ritengo, anzi, che l’inflazione programmata dal governo al 2% per il 2007 e all’1,7% per il 2008 oltre a essere, secondo me, sottostimata, pone un problema più ampio».
E cioè quale?
«Il governo ha il diritto-dovere di fissare un tasso di inflazione programmata, ma ben altro è pensare di concordarla con le parti sociali. Perché questo significherebbe una riedizione del percorso degli inizi degli anni novanta, ma le condizioni sono cambiate: allora c’era la scala mobile, oggi significherebbe ridurre il potere d’acquisto dei lavoratori».
Il ministro dell’Economia le risponderebbe che i tempi sono duri e servono sacrifici…
«Lo so bene che siamo in una fase difficile, nessuno si aspettava rose e fiori, ma elementi di discontinuità con il passato. E a me, francamente non mi pare di poterli cogliere. Non si può pensare di poter agire ancora sulle condizioni dei lavoratori: non hanno più nulla da dare».
Ma allora il sindacato come dovrebbe comportarsi, secondo lei?
«Eh sì, questo nodo apre una partita difficile sul tema già affrontato al congresso a proposito di governi “amici” o “avversari”. Io resto convinto che questo governo non è un avversario, lo era quello di Berlusconi perché colpiva apertamente i diritti e il ruolo del sindacato, ma ciò non toglie che ci possano essere posizioni differenti né l’opportunità dell’esercizio del conflitto sociale in presenza di un governo che non va considerato avversario».
Di questo ha già parlato con la Cgil?
«Queste cose le ho dette pochi giorni fa al comitato direttivo della Cgil, proprio con le stesse parole. E ho anche detto che il percorso sindacale che prevede la definizione di una piattaforma unitaria per il confronto con il governo sula finanziaria, deve essere preceduto da una discussione interna alla Cgil e che la contrattazione sulla base di quella piattaforma preveda la consultazione dei lavoratori e dei pensionati. Come è stato fatto negli anni novanta».
Insomma un altro autunno difficile. Ma quella sarà anche la stagione del confronto con la Fiat. Cosa pensa del nuovo quadro del gruppo alla luce dei risultati e delle nuove alleanze?
«Come era prevedibile il 2006 diventa il momento in cui si gioca l’assetto futuro della Fiat. Quindi in autunno noi vogliamo aprire un confronto sull’insieme delle politiche industriali del gruppo, che non può prescindere da un aspetto decisivo come il ruolo degli stabilimenti italiani nell’ambito di questa riorganizzazione su scala internazionale».
Teme una delocalizzazione strisciante?
«Io registro semplicemente che l’orizzonte industriale della Fiat, in Italia, finisce nel 2008. Perché dei nuovi modelli non si inventano in sei mesi. Quindi intendiamo aprire il confronto almeno fino al 2010-2011. E devo dire che non trovo di buon auspicio il messaggio che si può cogliere in una lettera che la Fiata ha mandato, pochi giorni fa, a tutti i dipendenti dello stabilimento di Pomigliano d’Arco».
Perché? Cosa dice quella lettera?
«In pratica spiega ai lavoratori che ci sono problemi di produttività e che quindi le scelte sull’assegnazione dei nuovi modelli si baserà anche su questi criteri. Ecco, questo è proprio un approccio contrario a quello che lo stesso Marchionne sbandiera ad ogni intervento pubblico. Noi siamo sempre disponibili al confronto sui problemi, ma non accettiamo la logica del ricatto che mette uno stabilimento in contrapposizione all’altro. Questa è l’altra faccia degli accordi internazionali di questi giorni. E anche su questo il governo non può certo essere soltanto uno spettatore».