Riforma elettorale, la rivolta della sinistra

Nel giorno in cui in un apposito caminetto dei “big” del Partito democratico si è discusso della bozza di riforma del sistema elettorale per le europee si è registrata la levata di scudi delle formazioni dell’ex arcobaleno, allargata al Partito socialista e all’Udeur. Motivi delle proteste che sono arrivate a ipotizzare una rottura dell’alleanza con il Pd nelle amministrazioni locali, sono le indiscrezioni trapelate sulla stampa riguardo alla bozza di accordo tra democratici e maggioranza. Di fronte alla rivolta generale, Massimo D’Alema si sarebbe assunto la responsabilità di frenare l’iniziativa della segreteria.

Secondo molti giornali, base dell’intesa sarebbe uno schema di riforma che prevede le circoscrizioni su base regionale (dunque un incremento rispetto alle cinque attuali) e l’inserimento delle preferenze, ma secondo uno schema già soprannominato “belga – svedese”: rimangono le liste bloccate, ma l’elettore avrebbe la possibilità di scegliere uno qualunque dei candidati in lista. Quelli che non comparirebbero in testa agli elenchi compilati dai partiti avrebbero così la possibilità di scardinarli, a patto che ottengano almeno una percentuale minima prestabilita calcolata sul totale sulle preferenze. In cantiere ci sarebbe anche una soglia di sbarramento: le ultime voci la davano al quattro per cento, a metà strada tra il tre proposto dal Pd e il cinque messo sul piatto dai berlusconiani.

Il deputato democratico Roberto Zaccaria, che ha già firmato una proposta di legge simile, ha sintetizzato così lo schema: “Si tratta di attribuire rilevanza al ‘silenzio’ dell’elettore. Chi non esprime la preferenza avvalora in questo modo i candidati della lista bloccata. La soglia poi può cambiare: più bassa è meno penalizza i candidati esterni alla lista bloccata”.

Zaccaria ha parlato a pomeriggio inoltrato, quando il fronte del no alla riforma aveva già fatto fuoco e fiamme. A dare il via era stata una dichiarazione mattutina del capogruppo democratico alla Camera Antonello Soro, praticamente una conferma delle indiscrezioni comparse sui quotidiani: “Noi pensiamo che occorra assolutamente porre un limite al processo di frammentazione del sistema politico italiano così come si è verificato un anno fa e dall’altro occorre assicurare che i cittadini partecipino alla scelta dei propri rappresentanti al Parlamento europeo. Le modalità tecniche sono oggetto di discussione”. I dettagli potranno essere cambiati in corso d’opera, ma i principi ci sono, confermati in serata da Giorgio Merlo assieme all’incremento delle circoscrizioni. Le preferenze, innanzitutto. Tuttavia, è l’ammissione implicita – “limite al processo di frammentazione” – dell’inserimento dello sbarramento a far sollevare tutta la sinistra, timorosa di rimanere al di sotto del limite minimo di elezione dei rappresentanti a Strasburgo. Non a caso i partiti della sinistra, più l’Udeur, sono a favore del mantenimento della legge attuale, che praticamente non contiene soglie di sbarramento.

L’arma diffusa, l’unica a disposizione, è la messa in discussione delle alleanze locali. Orazio Licandro del Pdci lo ha detto senza mezzi termini: “Non seguiremo la loro disperazione, ma faremo in modo che perdano fino all’ultimo sindaco”. Stessa linea dal coordinatore nazionale di Sinistra democratica, Claudio Fava: “E’ un’indecenza. Credono di ridare speranza al loro progetto usando mezzi paramilitari per alimentare il voto utile. Percorreremo ogni via, compresa quella di abbandonare le giunte. Lo abbiamo già fatto a Napoli, lo faremo ovunque”. Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione comunista, ha parlato di “colpo di stato” minacciando : “Reagiremo con ogni mezzo possibile”. Minacce di rotture delle alleanze locali sono giunte anche dall’Udeur e dal Partito socialista, promesse di battaglia dai Verdi. Il segretario del Ps, Riccardo Nencini, riunirà martedì prossimo nella sede della Rosa europea tutte le forze “extraparlamentari” contrarie alla riforma.

I mugugni, in realtà, non vengono solo dagli ex alleati dell’Unione. Anche la Lega nord vorrebbe mantenere la legge così com’è. Oggi lo ha ribadito il leader Umberto Bossi: “Abbiamo provato a cambiarla ma non ci siamo riusciti. E adesso non c’è più tempo”. Sicuramente a favore delle preferenze Antonio Di Pietro, ma criptico sulla soglia di sbarramento: “Noi dell’Italia dei valori siamo convinti che gli sbarramenti non devono essere tali da impedire a parte dei cittadini di essere rappresentati”.

Se è vero, come è probabilmente vero, che il segretario democratico Walter Veltroni sta lavorando alla soglia di sbarramento per tentare una riedizione del voto utile dello scorso aprile, trova in Silvio Berlusconi una sponda ideale, visto che ha gli stessi intenti nei confronti della Destra di Francesco Storace (che si è appellato al Presidente della Repubblica) e dell’Udc di Pier Ferdinando Casini, il quale, tuttavia, dopo un incontro con il sottosegretario Paolo Bonaiuti ha mostrato di non temere lo sbarramento: “Per noi va bene. Vogliono farlo al 4%? Va bene anche quello”. Lo convincono meno di temi i marchingegni in lavorazione sul capitolo preferenze: “Bisogna prevederle e basta, i pasticci non ci interessano”.

Il dossier e la trattativa, insomma, sono sul tavolo, i contatti tra Pd e Popolo della libertà avviati. Veltroni, di sicuro, dovrà prima compattare il suo partito, dove compaiono una serie di personalità contrarie a schemi troppo “bipartizzanti” o maggioritari. Uno di questi è l’ex segretario dell’Udc Marco Follini, che ha citato come esempio addirittura l’avversario nel precedente governo Berlusconi, Bossi: “La sua idea di non cambiare la legge elettorale per le Europee mi sembra di puro buon senso. Mi auguro che il Pd non sia meno saggio del leader leghista. Sarebbe paradossale se non fosse così”. A quanto si apprende, i numerosi ostacoli avrebbero indotto D’Alema, nel corso del caminetto, a uno stop motivato dalla mancanza “di condizioni politiche” per condurre in porto l’intesa per la riforma.