Rifondazione verso il Congresso

VERSO IL CONGRESSO

Dai trozkisti ai rivoluzionari quattro su dieci contro il segretario a venti giorni dalle assise di Venezia

La “svolta governista” di Bertinotti scatena la minoranza di Rifondazione

Ferrando: “Vogliamo il Palazzo d´inverno? Ma a Palazzo Chigi vuole entrare Fausto”

Tutti uniti a fare il tifo per Vendola: “Se vince darà all´Unione una spinta a sinistra”

ROMA – I riferimenti culturali sono Marx e Engels, naturalmente. Che Guevara, ovvio. Ma anche Hugo Chavez. E Leon Trozsky, certo, «una figura gigantesca», dicono. Poi, c´è l´ipotesi rivoluzionaria, il governo degli operai e dei contadini e, accanto, l´uso di Internet per farsi conoscere, per creare la rete con i movimenti. Bocciato invece il Mahatma Gandhi «che portò alla spartizione del suo Paese e alla strage di quindici milioni di indiani», spiega il trozkista Claudio Bellotti. Sbagliata, dunque, la politica di Rifondazione, gli accordi già presi e le nuove icone che servono ad assecondare le svolte del partito, dalla non violenza gandhiana appunto, al riconoscimento dei crimini comunisti, alla memoria delle foibe. Così parlano gli oppositori di Fausto Bertinotti.

Prc, che con Prodi si appresta a varare un programma di governo che prevede anche la nomina di alcuni ministri, va al congresso (dal 3 a 6 marzo a Venezia) con cinque mozioni. La prima, quella di Bertinotti, ha già vinto. Al 9 febbraio, ultimo dato disponibile, sfiorava il 60 per cento, molto più del 51 che comunque al leader sarebbe bastato. «Posso vincere anche con una maggioranza risicata», aveva detto e la cosa non era piaciuta ai rappresentanti degli altri documenti. I quali però, tutti insieme, rappresentano oggi il 40 per cento del partito. Una novità. Nel 2002 la rielezione di Bertinotti fu plebiscitaria: 88 per cento. È una minoranza divisa, ma il centrosinistra ci dovrà fare i conti quando Rifondazione sarà sempre più decisiva negli equilibri del centrosinistra.

Su un punto “Essere Comunisti”, la mozione che è al 25 per cento, detta anche “l´Ernesto”, “Un´altra rifondazione è possibile” o “area Erre” ferma a 7,5, “per un progetto comunista” vicina al 7 e “Rompere con Prodi” al palo con l´1,8, sono d´accordo: Prc non deve entrare al governo. Niente ministri, niente sottosegretari. «Ci fanno la caricatura dicendo che siamo ancora quelli che pensano alla conquista del Palazzo d´Inverno, poi è lui, Bertinotti, che vuole entrare a Palazzo Chigi con qualche ministro», attacca Marco Ferrando, oppositore storico del leader, l´unico dei quattro che anche allo scorso congresso stava dall´altra parte.

Ma la minoranza di Prc non è riuscita a fare un «correntone», sul modello diessino, le opposizioni tutte nello stesso contenitore. «Meglio così, sarebbe stato un imbroglio», commenta Claudio Grassi, il leader di “Essere comunisti” e nuovo contraltare del segretario. Perché c´è un altro punto, più dirimente del primo, che è un vero elemento di divisione per la minoranza. È la prova del governo, il grande scoglio per un partito di lotta come Prc. Mandare a casa Berlusconi, sì. Ma come? Quale rapporto con l´Unione, quale accordo per le politiche del 2006?

Di fronte alla strada imboccata da Bertinotti, si è scatenata una babele di linguaggi e di proposte alternative nell´opposizione al segretario. Ferrando parla di «intesa tecnico-elettorale valida solo per alcuni collegi, lì dove sono candidati esponenti della sinistra, mai quelli della maggioranza dei Ds o della Margherita». Un appoggio esterno, quindi. Condivide Bellotti: «Nessun voto per quelli della Margherita», dice. È il ritratto di una mini-desistenza. Non è d´accordo Luigi Malabarba che parla di un «accordo programmatico e non tecnico, a partire dal no alle missioni di guerra anche sotto l´egida dell´Onu e dall´abolizione delle peggiori leggi di questo governo». Grassi avverte Bertinotti: «Partiamo dai contenuti. Non si può dire adesso se entreremo nel governo. E mettiamo delle condizioni. Se non ci danno la patrimoniale, che facciamo? Fausto ha già dato la sua risposta, sta dentro il centrosinistra comunque».

Ferrando e Bellotti sono «piccoli», ma Grassi e Malabarba si pongono l´obbiettivo di condizionare la politica di Rifondazione. Non insieme però. Malabarba è convinto che sarà lo stesso Bertinotti, nei prossimi mesi, a gestire una politica diversa. «Ha bisogno di noi – dice – , senza non riesce a gestire il partito soprattutto al Nord dove in alcune realtà è sotto al 50 per cento». Il segretario capirà nei prossimi mesi quale difficile convivenza lo aspetta con il resto dell´Unione. «Avere ministri significa essere in gabbia, servirebbe a tenere calmi i lavoratori e a frenare le lotte sociali». In parole povere, che fa un ministro di Rifondazione di fronte a uno sciopero, a una serrata, a una protesta? Malabarba osserva che «Tremonti sembra di sinistra perché altri sono ormai di destra» e si riferisce ai leader della Fed. Dice che immaginare un ministero della Programmazione economica significa puntare alla rottura del patto di stabilità. Si può fare con Prodi?

È la «svolta governista» a venir messa in discussione, spiega Grassi. «Spregiudicata, frettolosa», dice.

Nessuno però pensa a scissioni. E dopo una polemica dura su un presunto rigonfiamento delle tessere a vantaggio del segretario (polemica rientrata quasi subito) i rappresentanti delle quattro mozioni alternative riconoscono a Bertinotti «carisma e capacità». Tifano per Vendola, senza distinzioni. Anzi, il trozskista Bellotti dice che «una vittoria di Nichi darà una spinta di sinistra all´Unione, segnerà il rifiuto dei personaggi ipermoderati». Ma il confronto resta aperto.

A Venezia una fetta abbastanza consistente del partito cercherà di far entrare in crisi il percorso scelto da Bertinotti, cioè l´accordo con il centrosinistra. Con posizioni distinte. Ferrando parla del rischio di «un esecutivo Prodi-Montezemolo, condizionato dalle banche e dalle industrie». Grassi o Malabarba evitano le immagini ma spingono per accentuare il profilo di sinistra dell´alleanza. Comunque, è anche con loro che l´Unione deve fare i conti. O almeno imparare a conoscere cosa si muove in un partito che ormai è l´ago della bilancia della coalizione.