Rifondazione, un dibattito a carte coperte

Il voto sul nuovo statuto, nella notte tra venerdì e sabato, non ha creato difficoltà di sorta a Fausto Bertinotti e alla sua maggioranza. Anche il dimagrimento degli organismi dirigenti è stato approvato da circa il 60% dei delegati, una percentuale che rispecchia come una fotocopia i risultati dei congressi di base. La stessa maggioranza ha confermato che nessun sesso potrà occupare più del 60% delle cariche. A questo punto resta solo da vedere se l’area dell'”Ernesto” voterà il documento conclusivo, ipotesi a dir poco probabile. Nessun dubbio invece sulla conferma del segretario. Col voto della sua maggioranza e dell’area grassiana, contrastato solo dall’ala sinistra guidata da Marco Ferrando, Bertinotti otterrà l’87% dei consensi. Anche in questo caso, nessuna sorpresa. Il dissenso dell'”Ernesto” non si era mai spinto fino a mettere in forse la conferma del leader. I colonnelli della maggioranza avevano atteso il voto di venerdì notte con qualche timore. Non Bertinotti, sicuro del risultato. «Non c’era nessun pericolo – afferma – anche perché questo è un congresso schierato». Per lo stesso motivo, aggiunge però il segretario del Prc «il dibattito fatica ad andare oltre la relazione iniziale». Quel che Bertinotti non dice lo conferma il suo stato maggiore: la relazione traccia le conclusioni del congresso, il suo punto d’arrivo, non quello di partenza come dovrebbe essere.

Il dibattito occupa l’intera giornata. Parlano Burgio e Sorini, per i grassiani, ribattono Giordano, Cremaschi, Ferrero per la maggioranza. Ma si fatica un bel po’ a seguire uno scontro combattuto tutto sul filo dell’allegoria, del parlare di una cosa per alludere a un’altra che spesso, a sua volta, rinvia a una terza ancora. Quando s’incrociano le lame sullo stalinismo, non si tratta infatti di un incomprensibile revival fuori tempo massimo. Il confronto rinvia ai mai chiariti legami di questo partito con il vecchio Pci, e non sarebbe esagerato affermare che solo in questo quinto congresso, a dieci e passa dalla fondazione, arriva a precipitazione un chiarimento prima rinviato: l’emancipazione del Prc dall’ombra del vecchio Pci, il suo coraggio nel affermarsi come qualcosa di nuovo e diverso. Non a caso Burgio, nel suo intervento, lo segnala lucidamente. Dice a chiare lettere che c’è un dissenso sulla valutazione delle storia del movimento comunista, e allude in particolare alla vicenda dei comunisti italiani.

Già. Ma anche questo scontro chi oserebbe definirlo di stringente attualità? Solo che neppure questa è la vera materia del contendere. Si parla, o si allude, alla tradizione comunista, a Gramsci, al Pci. S’intende il ruolo del partito nel nuovo e magmatico movimento sul quale Bertinotti ha scommesso tutto: il «movimento dei movimenti». Che possa rivelarsi la fucina del movimento operaio del futuro, depositario del conflitto di classe nel post-fordismo, lo affermano senza esitare anche i grassiani. «Solo – sottolinea Burgio – che non avverrà da sé: c’è molto determinismo nell’elaborazione del segretario. Il problema è quale debba essere in questo processo il ruolo del partito e dell’organizzazione». E’ qui la radice del dissenso profondo che separa maggioranza e opposizione.

Non è affatto un nodo secondario, meno che mai bizantino. Peccato che questa che è la vera materia del contendere sia coperta da tali e tanti veli, che difficilmente arriva a essere materia di un dibattito aperto. Se ne parla, ad esempio, mettendo a confronto interpretazioni opposte della manifestazione del 23 marzo, e del suo eventuale debito nei confronti del movimento. Fa chiarezza Cremaschi. E’ lui per primo ad assicurare che quel debito c’è, che senza la Fiom e il suo sciopero dei metalmeccanici, senza lo sciopero non confederale della scuola, non ci sarebbe stato neppure questo sciopero generale. Ma senza movimento non ci sarebbero state le due scadenze in questione. Ed è un modo di dare ragione al segretario, di negare l’alternatività tra movimento operaio e no global. Ma è anche, appunto, un modo di schierarsi, come tutti gli interventi precedenti e seguenti. Si tratta probabilmente di un passaggio obbligato, l’ultima soglia per il raggiungimento di quell’emancipazione perseguita da anni. Ma il dibattito vero, nel Prc e nel movimento stesso, inizierà il giorno dopo la fine del congresso.