Rifondazione si sente più precaria di Prodi

Stavolta può davvero accadere di tutto. Per Rifondazione comunista comincia una delle settimane più difficili della sua storia. E per il governo Prodi la sopravvivenza alla finanziaria dipende da una serie di passaggi sempre più stretti. Ricapitolando: il tavolo di trattativa tra governo e sinistra radicale ha prodotto dei compromessi graditi a entrambe le parti, per esempio sul tetto di lavoratori “usurati” che sfuggiranno ai nuovi limiti di pensionamento (c’è la disponibilità ad alzarlo oltre quota 7000 l’anno) e su alcune parti secondarie del Protocollo sul welfare. Bastano questi passi avanti a immaginare un accordo in vista del Consiglio dei ministri di venerdì? No. Lo ha annunciato ieri il ministro Paolo Ferrero. Lo ha confermato il ministro e leader di Sinistra democratica Fabio Mussi: «Sono pronto a votare no». Il problema è che, nonostante la volontà reciproca di non rompere, resta ancora una distanza incolmabile su un punto che Rifondazione, come il resto della Cosa rossa, considera irrinunciabile: la limitazione temporale dei contratti a termine. Le modifiche apportate in queste ore dal ministro del Lavoro Cesare Damiano al suo Protocollo sono buone per tenere calmi i sindacati, non la sinistra dell’Unione. Che aspetta fiduciosa di conoscere giovedì sera i dati disaggregati del referendum tra i lavoratori promosso dal sindacato. Nessun dubbio sulla vittoria dei sì.
Ma se il responso tra i lavoratori attivi, insomma nelle fabbriche, premiasse fortemente il no, come spera Franco Giordano e ed è pronta a giurare la Fiom, Rifondazione porterà la battaglia fino in fondo, dando battaglia in Consiglio dei ministri e trasformando la manifestazione anti-precariato del 20 ottobre in un punto di non ritorno. In realtà, una scappatoia concordata a mezza bocca tra governo e Cosa rossa per evitare la rottura ci sarebbe. Si tratterebbe di utilizzare l’iter parlamentare della legge di bilancio per colmare la distanza tra le parti, introducendo alcune modifiche e trovando un compromesso a metà strada. Alla Camera si potrebbe fare senza troppi problemi, come spiega il capogruppo Prc alla Camera Gennaro Migliore: «Credo che si possa trovare un accordo perché l’iter parlamentare è autorevole e assolutamente autonomo nelle sue scelte». Il problema è che al Senato, dove quasi certamente sulla finanziaria sarà posta la fiducia, la pattuglia diniana è pronta a sfilarsi davanti a una concessione del genere alla sinistra dell’Unione. E dalle parti di Giordano c’è chi ritiene che Prodi abbia stretto un patto con Dini, garantendogli la blindatura del provvedimento nelle sue parti essenziali. Chi ha parlato con Giordano in queste ore spiega che il partito non mollerà. «Possiamo anche accettare – spiegano gli uomini più vicini al segretario – di ingoiare il boccone amaro sulla previdenza, sulla quale non mancheremo comunque di alzare la voce, ma sul precariato ci giochiamo la faccia». Ma messa alle strette, e davanti all’impossibilità di ottenere soddisfazione, Rifondazione avrebbe davvero il coraggio di rompere? La risposta, si suggerisce al quartier generale di viale del Policlinico, stavolta potrebbe essere affermativa. Perché archiviata la sconfitta sul welfare, il Prc dovrebbe subito aggiungerci quella sulla legge elettorale, dove il blitz bipartisan alla Camera per votare un proporzionale alla tedesca, vecchio pallino bertinottiano, è già vicino al fallimento a causa dell’ostilità dei leader principali dei due schieramenti, Water Veltroni e Silvio Berlusconi.
Dunque, si spiega nel Prc, «noi possiamo anche farci carico dell’ennesimo sacrificio e garantire altri mesi di vita a Prodi. Ma a quale scopo? Quello di andare a referendum sulla legge elettorale l’anno prossimo? Non possono chiederci anche di suicidarci».