Rifondazione: «Si è agito sull’Irpef per non intaccare i contributi»

Il primo mal di pancia sull’«inafferrabilità» del taglio del cuneo lo aveva manifestato il leader della Uil Luigi Angeletti, due sere fa, a Ballarò: «Il taglio dei due punti ai lavoratori dipendenti, il 40% di cui si era parlato, è completamente evaporato». E che ci siano dei malumori nel sindacato, è emerso – carta canta – nel documento di Cgil, Cisl e Uil sulla finanziaria, quando si dice: «Occorre che il governo chiarisca se, quanto e come l’impegno sulla riduzione del cuneo destinato ai dipendenti sia compreso nella manovra». Una formula ribadita ieri dal leader della Cgil Guglielmo Epifani: non si esprime una contrarietà alla misura, insomma, ma da tutti questi elementi sembrerebbe che i confederali vogliano capire nei dettagli quanto le misure favoriscano fino in fondo il lavoro dipendente, in particolare quello delle fasce medio-basse.
A rendere esplicita la «grana», la copertina del manifesto di ieri: «Presi per il cuneo». In difesa della misura è intervenuto il capogruppo alla Camera di Rifondazione comunista, Gennaro Migliore, che ci spiega la scelta di legare il taglio del cuneo alla rimodulazione dell’Irpef: «La questione è semplice – esordisce – Se avessimo deciso di agire sui contributi in vantaggio della busta paga, dato il sistema contributivo, avremmo danneggiato le pensioni future dei lavoratori. Allora per le imprese si è scelto di intervenire sull’Irap, mentre per i lavoratori abbiamo selezionato l’unica via possibile, quella di restituire il taglio grazie all’Irpef: non solo attraverso la rimodulazione delle aliquote, ma soprattutto per via delle detrazioni e degli assegni familiari: ben il 92% dei dipendenti si trova sotto i 42 mila euro, e da questo si può vedere come la riforma della fiscalità generale possa avvantaggiare specificamente questo settore di lavoratori». Restano aperti almeno due problemi: del taglio del cuneo ai dipendenti beneficiano anche gli autonomi – in diversi casi evasori fiscali e dunque fraudolentemente sotto la soglia dei 40 mila euro – e c’è uno squilibrio «familistico»: un operaio single si vede tagliato il cuneo, ma agli assegni familiari non accede. «Inutile nascondere che ne beneficiano anche gli autonomi, ma se si deve agire sull’Irpef si fa una misura generale – risponde il deputato del Prc – Avvantaggia tutti i redditi medio-bassi, indipendentemente dall’evasione, che devo combattere con altri mezzi. Quanto al carattere «familistico», è vero che c’è questo accento: ma un operaio single può accedere alle detrazioni, riguardano tutti. Sono caratteri che non ha senso negare, ma fanno parte di una misura generale indirizzata ai redditi medio-bassi, che cambia il segno rispetto alle passate politiche fiscali. Piuttosto, se ci sono miglioramenti da operare alla manovra, io parlerei degli enti locali, che non possono bloccarsi a causa dei tagli: è un problema da affrontare». Sulla lotta alla precarietà Rifondazione cosa farà? L’approccio alla legge 30 per ora è minimal, mentre i parasubordinati sono scontenti dell’unics misura varata a loro «vantaggio», l’aumento dei contributi. Protesta il Nidil Cgil: se non parifichi i compensi a quelli dei dipendenti, il datore di lavoro può abbassare le retribuzioni e far pagare tutto ai cocoprò, dato che il compenso è libero: «La legge 30 deve essere cancellata – risponde Migliore – e certo non basta abolire solo staff leasing e job on call, contratti che riguardano 5-6 lavoratori in Italia. Questo non vuol dire però che le misure varate in finanziaria non siano efficaci, perché vanno in direzione di un contrasto alla precarietà: non credo che i datori di lavoro diminuiranno i compensi, si è già troppo tirata la corda in questi anni».
Sulle pensioni e il sistema contributivo, in Cgil c’è da registrare la presa di posizione di Giorgio Cremaschi, leader della Rete 28 aprile, una delle sinistre più attive nella confederazione e primo diffusore del memorandum sulle pensioni firmato da governo, Cgil, Cisl e Uil, pubblicato due giorni fa sul sito Internet rete28aprile.it: «L’aumento dei contributi ai lavoratori dipendenti, pari allo 0,3%, non viene restituito in pensioni ma va a fare cassa nella finanziaria. Per giunta, da gennaio c’è la possibilità che si intervenga sull’aumento dell’età pensionabile e sui coefficienti per la parametrazione degli assegni, con rischio di tagli. E’ una manovra in due tempi, negativi entrambi: oggi, quando dai tutto con i contributi, e domani quando taglierai». «I confederali e la Cgil – conclude Cremaschi – non possono trattare sulle pensioni senza chiedere un mandato chiaro ai lavoratori: quel memorandum non doveva essere firmato. Ed è ancora più rischioso in un clima in cui si dice che il sindacato ha vinto sulle principali richieste, perché le imprese a questo punto alzeranno il prezzo».