«Rifondazione pronta alla piazza con i sindacati»

«Se fosse necessario, Rifondazione comunista è pronta a scendere in piazza con i sindacati, qualora indicessero uno sciopero: tutto dipende da quello che succederà ai tavoli che si aprono il 22 marzo». Maurizio Zipponi, responsabile Lavoro di Rifondazione comunista, non usa mezzi termini e mette sul piatto le posizioni che il partito porterà avanti su pensioni, mercato del lavoro, contratti. Ma ci tiene a parlare di una mobilitazione che «non sarà contro il governo, ma contro Confindustria»: «quel partito che non c’è ma che è trasversale a tutti i partiti» e che sta facendo di tutto per tagliare ancora una volta i diritti dei lavoratori, dei pensionati, delle fasce deboli. E ci propone una finzione: facciamo come se fossimo a un’assemblea di operai, cerchiamo di essere meno «politicisti» e più concreti. Accogliamo la «sfida», anche se siamo sicuri che i lavoratori in assemblea sono certamente più «cattivi» di un giornalista. Non perdonano e possono togliere il voto.

Allora chiedo al «partito»: oggi ho 30 anni e guadagno 1000 euro al mese. Che pensione prenderò tra 35 anni? E voi intanto che state facendo per tutelarmi?
Diciamo subito che prima della riforma Dini, che risale al 1995, chi lavorava 40 anni aveva diritto a circa l’80% dell’ultima retribuzione. Oggi siamo esattamente alla metà, il 40%. Noi dobbiamo partire da questa enorme «rottura generazionale» che la Dini ha introdotto e invertirla: Rifondazione propone di rilanciare la pensione pubblica, e portare l’assegno al 65-70% dell’ultima retribuzione. Bisogna innanzitutto fare chiarezza sui dati di partenza, perché la riforma Dini ha sottovalutato le entrate e sopravvalutato le uscite: gli occupati sono molti di più di quanti aveva previsto, come i lavoratori immigrati (250 mila l’anno e non 50 mila); la curva dei coefficienti è legata a un aumento di aspettativa di vita irrealistico, come se fra pochi decenni tutti vivessimo fino a 150 anni. E’ vero che l’aspettativa di vita «media» è aumentata, ma vale diversamente per chi ha fatto tutta la vita un lavoro pesante e chi uno meno oneroso. Oltretutto l’età effettiva media in cui gli italiani vanno oggi in pensione è di 60,1 anni. Allora noi proponiamo di abolire lo «scalone», come prevede il programma dell’Unione, e di riportare l’età a 57 anni e 35 di contributi, introducendo un’uscita flessibile, con soli incentivi, da 57 a 65 anni. Le risorse si possono recuperare: a) separando assistenza da previdenza, come in tutti i paesi europei; b) obbligando le imprese morose a dare i 38 miliardi di euro che devono all’Inps: con questi soldi si potrebbero addirittura diminuire i contributi a carico dei lavoratori; c) unificare tutti gli enti previdenziali, ricollocando i dipendenti in nuovi servizi.

Ma fino a che punto si resiste? Non è che per salvare il governo s’ingoieranno rospi?
La trattativa la farà il governo con le parti sociali. Se l’accordo che ne uscirà soddisferà i sindacati, e se verrà sottoposto al voto dei lavoratori e questi lo accoglieranno, allora non ci esimeremo dal dare il nostro giudizio, ma faremo un passo indietro perché l’ultima parola devono averla i lavoratori. Ma mi preme chiedere una cosa alla Confindustria: cosa ne ha fatto dei soldi del cuneo fiscale? Finora non abbiamo visto 1 euro in investimenti. E soprattutto vorrei sapere i nomi di quelle imprese che hanno chiesto ben 20 mila mobilità lunghe per mettere fuori lavoratori ultracinquantenni. Noi abbiamo un’alternativa alla mobilità lunga, che oggi costa allo Stato per 7-9 anni: ricollochiamo i lavoratori «in esubero» nel territorio, contrattando con le imprese, e assicurando loro che lo Stato paga i salari dei primi 1-2 anni. Costa molto meno e ridà dignità ai lavoratori over 50.

Su legge 30 e contratti a termine il partito chiederà una riscrittura delle regole?
Con un centinaio di parlamentari, con la sinistra Ds, i Verdi, il Pdci, abbiamo firmato l’unica proposta di legge che oggi individua una sinistra nel paese: quella elaborata dal giuslavorista Alleva. Vogliamo cambiare profondamente le leggi 30 e Treu: non siamo la maggioranza del Parlamento, ma dopo la manifestazione del 4 novembre si è aperto un conflitto sociale nei territori che sta portando oggi a siglare tanti accordi di stabilizzazione. Dobbiamo continuare a sostenere quei contenuti. Sui contratti a termine credo che il governo dovrebbe emanare un disegno di legge, come annunciato dalle linee guida del ministero del lavoro, indipendentemente dalla contrarietà di Confindustria.

Che pensa Rifondazione della defiscalizzazione del secondo livello di contrattazione, chiesta oltretutto anche dai sindacati?
Non siamo d’accordo, e anzi proponiamo di defiscalizzare gli aumenti nazionali, per non penalizzare due volte quel 70% di lavoratori che oggi è escluso dal secondo livello.

Insomma, Rifondazione potrebbe portarci in piazza contro il governo?
Non contro il governo, ma in caso di «tagli» sosterremo i sindacati in uno sciopero contro il partito trasversale di Confindustria, per dare una sveglia al governo.